Palon de la Mare, 3703
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Non credo che il Ghiacciaio dei Forni abbia bisogno di presentazioni. Luna park per alpinisti, scialpinisti, escursionisti, turisti da pic nic e bambini, garantisce panorami grandiosi e avventure per qualsiasi livello di difficoltà.
Dopo il Tresero, salito lo scorso anno, per la terza volta in questo millennio, decido che è ora di tornare a far visita ad un'altra grande classica, che invece trascuro da oltre tre lustri: il Palon de La Mare, grandiosa montagna che chiude a nord la catena di undici cime che, partendo dal Tresero, delimita a sud il più grande ghiacciaio vallivo d'Italia, passando per Punta Pedranzini, Cima Dosegù, Punta San Matteo, Monte Giumella, Punta Cadini, Rocca di Santa Caterina, Cima di Pejo, Punta Taviela, Monte Vioz per culminare appunto nel Palon de la Mare, unico a superare, seppur di poco, i 3700 metri di altezza.
Viste le temperature considerevoli, Pancho e il Capitano declinano l'offerta e invece che per "la" Mare optano per "Il" mare; restiamo Schiep ed io, ma non prevediamo di soffrire di solitudine.
Compagnia in abbondanza all'ottimo Rifugio Albergo Forni, raggiunto la sera di sabato; esagerata al parcheggio pubblico più in basso, quando la mattina poco prima delle sette ci avviamo.
Sulla balconata morenica del ghiacciaio che, trecento metri sopra di noi, porta verso la colata glaciale del Palon, già si muovono quelli che hanno dormito al Rifugio Branca; tutta la parte bassa del ghiacciaio brulica di movimento: destinazioni Tresero, San Matteo, Vioz, Palon de La Mare.
Non abbiamo fretta. Questa volta, nonostante la temperatura notturna non sia scesa sotto lo zero, non ci aspettiamo scherzi dalla neve: i rumors la danno bella soda e l'esposizione, orientata verso ovest, del nostro itinerario ci da qualche garanzia in più.
Solo nel tratto pianeggiante iniziale si affonda un po', ma sfruttando la strada che, percorrendo il fondovalle, sale al Laghetto di Rosole, sotto il Rifugio Branca, non abbiamo problemi.
Sul gradino morenico neve molto dura e due grosse valanghe da superare, che non danno, però, particolari problemi.
Superiamo l'ultima impennata della morena e sbuchiamo nel piccolo pianoro sotto al canalone che adduce alla lingua del ghiacciaio; la giornata è splendida, un po' di vento, panorami spettacolo; peccato abbia sbagliato qualcosa nelle impostazioni della nuova compatta che mi sono portato, con conseguenze negative sulla qualità delle foto.
Il canale è ripido ma non troppo e, comunque, ben assestato; la neve è dura ma superficialmente croccante per cui si sale spediti senza incertezze. Duecentocinquantametri più in alto il pendio si allarga e addolcisce progressivamente, per sfociare nel vasto teatro del ghiacciaio che, procedendo da nordest per sudovest, scende dalla cresta sommitale del Palon de la Mare.
Ora il vento è decisamente fastidioso, accelero per attraversare più rapidamente possibile la parte più pianeggiante e portarmi a ridosso della costiera di sinistra, dove, appoggiati gli sci a delle rocce affioranti, mi cambio, indosso un'antivento, bevo, fotografo e aspetto lo Schiep.
Il quale, raggiuntomi, dopo un'esitazione, sceglie di fermarsi.
Non è che mi lascia solo: riacciuffo un gruppetto sgranato, giunto con lui e mi accodo per rimettere in moto con calma gli ingranaggi raffreddati dal quarto d'ora di sosta; sopra di noi, sulla cresta SE, c'è un gran andirivieni di scialpinisti, strapazzati, come noi, dal vento sempre più insistente.Dopo un tratto ripido, il percorso piega verso sud est su terreno che si fa quasi pianeggiante su neve dura e sastrugi di vento, che però non ci ostacolano più di tanto. Il tratto è un po’ noioso ma passa in fretta: in breve approdiamo alla base della cresta finale, dove lascio i miei soci provvisori a discutere sull’opportunità o meno di salire con gli sci.
La neve è in effetti parecchio dura ma la pendenza non è mai eccessiva e si sale abbastanza bene su superficie levigata dalle discese dei giorni precedenti.
Mollo gli sci solo quando manca pochissimo alla vetta, per percorrere a piedi una lingua di roccette e sassi che porta al cambio di pendenza finale; la cresta si allarga e si apre nel vasto pianoro sommitale e io mi rendo conto che potevo finire con gli sci ai piedi senza problemi, anche se la cosa non ha molta importanza visto il bassissimo appeal sciistico di questo breve tratto.
Sono le undici, il vento è meno continuo, ma piazza delle raffiche rabbiose che mettono a repentaglio l’equilibro degli avventori e minacciano di portar via i bastoncini; mi domando come possa resistere qui la piccola, semplice, bellissima croce di vetta.
Scatto un po’ di foto e mi avvio verso gli sci. Le raffiche mollano di colpo quando li raggiungo permettendomi di togliere e ricoverare le pelli in tutta comodità.
La discesa della cresta è divertente: slalom su neve marmorea e liscia, fra rocce affioranti e alpinisti sudati.
Sul tratto in falsopiano, (neanche tanto piano, visto che si va via come missili) i quadricipiti, in carenza d’ossigeno, si lamentano non poco per il fondo duro e sconnesso.
Nel tratto ripido del ghiacciaio, la neve è ancora bella dura, poi, raggiunto e recuperato lo Schiep, si fa via via ben remollata, regalandoci una gran sciata in scioltezza nel canale che scende sulla terrazza morenica. Qui, ancora neve dura, poi attraversamento valanghe, per chiudere con la strada che scende dal rifugio Branca, persino divertente nel tratto iniziale e comunque una manna del cielo che, grazie al suo fondo battuto, ci porta fin quasi alla diga senza problemi di affondamento.
“Quasi”, perché chiudiamo con un problematico guado del torrente, (siamo scesi troppo), con lancio di sci, racchette e suppellettili varie da riva a riva.
Abbiamo il tempo di "apprezzare" una discreta valanga, scesa durante la giornata nella Valle di San Giacomo, il ns. canale dello scorso anno al Tresero. Meditare.
Gran giornata, comunque, da chiudere con birra e panino nel bar di fiducia di Bormio.
Peccato solo per il telefonino dello Schiep. E’ sparito fin dal mattino e nulla più si seppe di lui.

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