Pizzo dei Tirz (2536 m)
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Chi si trova al cospetto dell’imponente sbarramento idroelettrico del Sambuco, e volta con attenzione lo sguardo verso occidente, lassù, oltre mille metri più in alto, ne scorgerà un secondo, questa volta di natura orogenetica. Si tratta della possente bastionata rocciosa che collega il Pizzo del Piatto al Pizzo dei Tirz. Quest’ultimo, in passato chiamato anche Pizzo Zambaròit, è la meta odierna. La vetta, sovrasta e funge da “spartiacque” a tre vasti pascoli, un tempo facenti parte della fitta rete di alpeggi presenti in Lavizzara: Alpe dei Tirz, Alpe di Röd e Alpe Sciresa. Oggi la vegetazione sta avanzando inesorabile riappropriandosi del territorio, rendendolo meno accessibile, ma una visita a questi luoghi, magari pittati da colori autunnali, s’ha da fare.
Gran parte del percorso mi è familiare in quanto già calcato più volte in occasione delle salite ai vicini Pizzo del Piatto, Pizzo Piandugiöi e Pizzo di Röd. Non mi intimorisco dunque a muovere i primi passi avvolto dalle tenebre, aiutato solo dalla luce della pila frontale.
Superata la corona della diga, svolto verso NW, seguendo la bella traccia, che a risvolti, tra larici e rododendri alpini, si inerpica decisa sopra il Lago del Sambuco, spegnendosi dinnanzi alla simpatica cascina del Cort Vec di Tirz (1817 m). Qui, benché il sentiero si perda appunto nella radura, viro senza indugi a SW (direzione visiva del Pizzo Piandugiöi), per superare una pietraia, da dove poi la via riprende ad essere ben visibile sino alle due cascine che formano il Corte delle Zotte (2030 m), riattate nel 1995.
Breve ristoro e ripendo in direzione NW, ora sull’esile scia di sentiero che in passato portava al Cort dal Piatt. Il tubo nero in PVC, che porta l’acqua dalle vicine sorgenti alla fontana che abbellisce le cascine sopracitate, mena nella giusta direzione. In breve aggancio il ruscello che scende dai pendii che formano l’Alpe dei Tirz e ne seguo le sue acque, sfruttando il terreno erboso di destra fino a sbucare davanti ad una bella conca, in parte paludosa. Da qui piego di nuovo verso NW per risalire una breve, evidente valletta erbosa che mi permette di salire ai pianori soprastanti, da dove, senza percorso obbligato, tra pascoli e facili placche, colmo il dislivello che mi separa dalla Cresta del Madone.
Quassù mi trovo già in posizione privilegiata per poter analizzare e valutare la delicata ascesa finale. L’idea è di sfruttare il versante S, caratterizzato da balze rocciose e ripide cenge erbose, in modo da sbucare sulla cresta W a pochi passi dalla cima.
Tenendomi piuttosto sul ciglio della cresta S, sempre su bei pascoli, mi porto fin sotto l’edificio sommitale, laddove il terreno comincia ad impennarsi. Mi trovo ora su una bocchetta, apice di uno scosceso vallone che degrada ai lati dell’impressionate parete SE della montagna. Proseguire diretti sulla cresta S appare ardito, per cui vado alla ricerca di una breccia che mi permetta di superare una prima fascia rocciosa che mi sbarra la progressione. Mi sposto da destra verso sinistra con salita diagonale sempre più ripida, fin quando, a ca. quota 2470 m, trovo un bel varco. Volgo lo sguardo verso l’alto, e con stupore, proprio sopra la mia testa, scorgo una fune metallica ancorata ad una roccia. La raggiungo e supero un tratto roccioso pianeggiante che mi immette dritto in un breve ma ripidissimo camino erboso. Qui, altri due cavi metallici rendono l’ascesa più semplice, e con qualche passo atletico su roccia, esco dall’imbuto alla sua destra (passaggio di I) proseguendo poi su una larga cengia erbosa in diagonale verso destra. In questo segmento un cavo è saltato, forse colpito da un fulmine, ma resta anche la porzione meno impegnativa della gagliarda ascesa. Mi spingo fin sotto la verticale della vetta, a ridosso di un caratteristico masso sporgente, a poche decine di metri dalla cresta S, dopodiché viro deciso in senso opposto, sfruttando un’altra provvidenziale ripida ed esile cengia erbosa che conduce diretta alla cresta W, proprio a ridosso di un curioso “fungo roccioso” (anche lungo tutto questo settore ci sono delle funi). Poco prima di raggiungere la sopracitata cresta, c’è da superare un passaggio delicato molto esposto. Mi aggrappo ora a dei ginepri ed affronto infine la breve crestina finale, che di fatto non è altro che un erto canaletto erboso incastonato tra le rocce, dove sono di nuovo ancorati 2 lunghi cavi. Attorno alle 10h tocco il vertice del Pizzo dei Tirz (2536 m) proseguendo poi per qualche altro metro in direzione E, verso il grande ometto di sasso, ben visibile anche dal basso.
La vista è spettacolare ed ampia ed il cielo blu e terso.
La discesa, come spesso accade, si dimostra più delicata rispetto alla salita, e mi fa ben capire la ripidità del terreno. Con prudenza e passi ben misurati, disarrampico il pendio per ritrovarmi di nuovo sui dolci pianori della Cresta del Madone.
La tentazione di tracciare un percorso di discesa più diretto è forte, ma preferisco raggiungere di nuovo il Corte delle Zotte, poichè provare a spostarsi fuori dalla “traccia maestra” comporterebbe lunghi litigi con la rognosa flora.
In conclusione, le difficoltà della salita si racchiudono tutte negli ultimi 50 metri di salita. Sebbene le numerose funi che di fatto indicano la via, portano diretti in cima e ne fanno di conseguenza smorzare ed alterare il reale grado di difficoltà, bisogna comunque portare molta prudenza e padroneggiare il terreno descritto. Senza l’ausilio dei cavi (peraltro in buono stato così come tutti gli spit), la via resta a mio avviso valutabile con un buon PD- (per l’esposizione, per la ripidità del pendio e per qualche passaggio delicato).
Note:
Vetta:
Uomo di sasso nei pressi della vetta.
Lago del Sambuco:
Ampia possibilità di parcheggio 200 metri prima di raggiungere la diga. Scarsa possibilità di parcheggio nei pressi della corona.
Valutazione:
Lago del Sambuco - Cort Vec di Tirz - Corte delle Zotte - Cresta del Madone: T3 (EE)
Cresta del Madone - Pizzo dei Tirz: T6- (PD-)
Gran parte del percorso mi è familiare in quanto già calcato più volte in occasione delle salite ai vicini Pizzo del Piatto, Pizzo Piandugiöi e Pizzo di Röd. Non mi intimorisco dunque a muovere i primi passi avvolto dalle tenebre, aiutato solo dalla luce della pila frontale.
Superata la corona della diga, svolto verso NW, seguendo la bella traccia, che a risvolti, tra larici e rododendri alpini, si inerpica decisa sopra il Lago del Sambuco, spegnendosi dinnanzi alla simpatica cascina del Cort Vec di Tirz (1817 m). Qui, benché il sentiero si perda appunto nella radura, viro senza indugi a SW (direzione visiva del Pizzo Piandugiöi), per superare una pietraia, da dove poi la via riprende ad essere ben visibile sino alle due cascine che formano il Corte delle Zotte (2030 m), riattate nel 1995.
Breve ristoro e ripendo in direzione NW, ora sull’esile scia di sentiero che in passato portava al Cort dal Piatt. Il tubo nero in PVC, che porta l’acqua dalle vicine sorgenti alla fontana che abbellisce le cascine sopracitate, mena nella giusta direzione. In breve aggancio il ruscello che scende dai pendii che formano l’Alpe dei Tirz e ne seguo le sue acque, sfruttando il terreno erboso di destra fino a sbucare davanti ad una bella conca, in parte paludosa. Da qui piego di nuovo verso NW per risalire una breve, evidente valletta erbosa che mi permette di salire ai pianori soprastanti, da dove, senza percorso obbligato, tra pascoli e facili placche, colmo il dislivello che mi separa dalla Cresta del Madone.
Quassù mi trovo già in posizione privilegiata per poter analizzare e valutare la delicata ascesa finale. L’idea è di sfruttare il versante S, caratterizzato da balze rocciose e ripide cenge erbose, in modo da sbucare sulla cresta W a pochi passi dalla cima.
Tenendomi piuttosto sul ciglio della cresta S, sempre su bei pascoli, mi porto fin sotto l’edificio sommitale, laddove il terreno comincia ad impennarsi. Mi trovo ora su una bocchetta, apice di uno scosceso vallone che degrada ai lati dell’impressionate parete SE della montagna. Proseguire diretti sulla cresta S appare ardito, per cui vado alla ricerca di una breccia che mi permetta di superare una prima fascia rocciosa che mi sbarra la progressione. Mi sposto da destra verso sinistra con salita diagonale sempre più ripida, fin quando, a ca. quota 2470 m, trovo un bel varco. Volgo lo sguardo verso l’alto, e con stupore, proprio sopra la mia testa, scorgo una fune metallica ancorata ad una roccia. La raggiungo e supero un tratto roccioso pianeggiante che mi immette dritto in un breve ma ripidissimo camino erboso. Qui, altri due cavi metallici rendono l’ascesa più semplice, e con qualche passo atletico su roccia, esco dall’imbuto alla sua destra (passaggio di I) proseguendo poi su una larga cengia erbosa in diagonale verso destra. In questo segmento un cavo è saltato, forse colpito da un fulmine, ma resta anche la porzione meno impegnativa della gagliarda ascesa. Mi spingo fin sotto la verticale della vetta, a ridosso di un caratteristico masso sporgente, a poche decine di metri dalla cresta S, dopodiché viro deciso in senso opposto, sfruttando un’altra provvidenziale ripida ed esile cengia erbosa che conduce diretta alla cresta W, proprio a ridosso di un curioso “fungo roccioso” (anche lungo tutto questo settore ci sono delle funi). Poco prima di raggiungere la sopracitata cresta, c’è da superare un passaggio delicato molto esposto. Mi aggrappo ora a dei ginepri ed affronto infine la breve crestina finale, che di fatto non è altro che un erto canaletto erboso incastonato tra le rocce, dove sono di nuovo ancorati 2 lunghi cavi. Attorno alle 10h tocco il vertice del Pizzo dei Tirz (2536 m) proseguendo poi per qualche altro metro in direzione E, verso il grande ometto di sasso, ben visibile anche dal basso.
La vista è spettacolare ed ampia ed il cielo blu e terso.
La discesa, come spesso accade, si dimostra più delicata rispetto alla salita, e mi fa ben capire la ripidità del terreno. Con prudenza e passi ben misurati, disarrampico il pendio per ritrovarmi di nuovo sui dolci pianori della Cresta del Madone.
La tentazione di tracciare un percorso di discesa più diretto è forte, ma preferisco raggiungere di nuovo il Corte delle Zotte, poichè provare a spostarsi fuori dalla “traccia maestra” comporterebbe lunghi litigi con la rognosa flora.
In conclusione, le difficoltà della salita si racchiudono tutte negli ultimi 50 metri di salita. Sebbene le numerose funi che di fatto indicano la via, portano diretti in cima e ne fanno di conseguenza smorzare ed alterare il reale grado di difficoltà, bisogna comunque portare molta prudenza e padroneggiare il terreno descritto. Senza l’ausilio dei cavi (peraltro in buono stato così come tutti gli spit), la via resta a mio avviso valutabile con un buon PD- (per l’esposizione, per la ripidità del pendio e per qualche passaggio delicato).
Note:
Vetta:
Uomo di sasso nei pressi della vetta.
Lago del Sambuco:
Ampia possibilità di parcheggio 200 metri prima di raggiungere la diga. Scarsa possibilità di parcheggio nei pressi della corona.
Valutazione:
Lago del Sambuco - Cort Vec di Tirz - Corte delle Zotte - Cresta del Madone: T3 (EE)
Cresta del Madone - Pizzo dei Tirz: T6- (PD-)
Tourengänger:
Varoza

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