Dosso di Cè dal versante Ovest
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Vista da Sky
Tante volte ho fatto in gara il Dosso di Cè, tutte quante passando dal ripidissimo sentiero che sale lungo la cresta Est. Una volta arrivato in cima, ogni volta il mio sguardo era catturato dal versante Ovest che scende a strapiombo verso la Valle degli Inferni. Stimolato dall’esperienza più che positiva con Menek di qualche settimana fa al Canale dei Mufloni, mi viene voglia di provare con lui a risalire quel pendio forsennato che avevo già pensato da un po’ di fare in solitaria.
Parcheggiamo a Casto e velocemente ci portiamo al Rifugio Paradiso, da cui incomincia l’avventura vera e propria. Seguiamo il letto biancastro di un torrente fantasma. A fianco, corre un tubo che evidentemente serve da approvvigionamento d’acqua per il rifugio. Ad un tratto, come per magia, appare una pozza d’acqua e, a monte, un ruscello che l’alimenta: evidentemente la zona presenta fenomeni di carsismo! A questo punto procedere lungo il letto del torrente diventa più complicato. Incomincio a pensare a come aggirare il saltino di rocce che abbiamo di fronte (il tubo nel frattempo va avanti, segno che proseguire non è impossibile). Il mio socio però mi fa notare che, secondo lui, abbiamo superato l’attacco del canale che intendevamo fare è più a valle. Così, torniamo per un centinaio di metri sui nostri passi. Con disappunto noto che, in mancanza di rete dati, OruxMaps ha perso la connessione con il WMS della cartografia 1:25000 dell’IGM: morale, dovremo andare a muzzo! Fortunatamente, ho sul GPS il waypoint del Dosso, almeno ho un’indicazione precisa di distanza e direzione della meta. Entriamo nel canale che abbiamo identificato come il “nostro”. Un primo tratto ripido su fondo poco coeso, poi un tratto in piano. A questo punto, di fronte a noi si presenta un salto, impossibile da superare. Ci guardiamo attorno e decidiamo, di comune accordo, di salire sul fianco del canale alla nostra destra. Così, ci aspettiamo di aggirare il salto, o almeno lo speriamo. Visto da sotto, il pendio sembra fattibile, niente di tremendo. Invece, dopo qualche decina di metri, ci troviamo in una situazione decisamente “scomoda”: io sono davanti, ho con me due picche e nello zaino una mezza corda da 30 metri. Ad un certo punto, mi trovo a non riuscire più a progredire: il terreno è una specie di terriccio su cui gli scarponi faticano a fare presa, ed il pendio è ripido, molto ripido. Dico a Menek di non venire avanti: il rischio è di metterci entrambi in pericolo, così almeno uno dei due può essere (relativamente) al sicuro. Qualche metro davanti a me ho una pianta, che posso usare come sosta, ma raggiungerla non è affatto facile. A questo punto, estraggo dallo zaino i ramponi, che avrei dovuto mettere prima ancora di partire: calzarli su un pendio esposto e scivoloso non è molto facile! In un modo o nell’altro, riesco a metterli, e proseguo fino alla pianta. Lego la corda e la butto al mio amico. Già, fosse facile… Due o tre tentativi falliscono miseramente, con la corda che si impiglia nei rami che ci separano. Alla fine però ce la faccio, e
Menek può così raggiungermi, rendendosi anche conto di quanto più difficile sia rispetto che visto da sotto. Non riusciamo a vedere cosa ci aspetta, salendo, ma decidiamo di proseguire. Nel caso si metta male, possiamo fare delle doppie per scendere. A questo punto parto per un secondo tiro. Altra sosta su un albero, e riparto. Tengo la corda legata ad un anello sulla cintura dello zaino, per non perderla. La progressione è sempre difficile, ma finalmente mi pare di scorgere una fine: sto uscendo dal bosco e mi sembra di vedere un colletto. Ancora un passaggio un po’ delicato su degli arbusti e poi le pendenze incominciano a diminuire, con un ultimo tratto sull’erba. La corda però, nel frattempo, sta per finire, la sento tirare!
Menek da giù mi urla che manca un metro o poco più. L’albero più vicino, l’unico punto dove possa fare una sosta, dista un po’ di più. Fortunatamente con me ho uno spezzone di cordino da 5 mm: lo giunto con un nodo inglese alla mia corda e finalmente sono all’albero. Preparo per bene l’ultima sosta e dico a
Menek che può salire. Ora mi posso rilassare! Non è ancora detto che siamo in salvo, ma perlomeno siamo in cresta. Il mio amico viene su con un po’ di difficoltà, ma con la corda dall’alto mi sento sicuro per lui. Ci abbracciamo. Mentre raccolgo la corda, lui dà un occhio a come andare avanti: sembrano esserci degli intagli, ma almeno siamo in cresta. Il canale che volevamo seguire è tutto alla nostra sinistra, e sembra non andare da nessuna parte. Ad ogni modo, una volta riposati, ripartiamo. È ancora lunga, mancano più di 800 metri in linea d’aria, ma il peggio sembra passato! L’intaglio che preoccupava il mio amico in realtà si dimostra facile di aggirare (e comunque avevamo sempre la corda con noi…). A questo punto, è tutta salita. Io incomincio a faticare, un po’ per il caldo, un po’ per il peso dello zaino e un po’ per la mancanza di allenamento, ma non mi importa… non è una gara e tempo ne abbiamo. Alla nostra destra vediamo quello che potrebbe essere un altro canale, forse migliore di quello che avevamo pensato di salire. Noi comunque decidiamo di proseguire per la nostra direzione, che a poco a poco assomiglia sempre meno ad una cresta e più ad un ripido versante erboso. Le pendenze aumentano, ma non importa, non ci sono più difficoltà, è solo la fatica di arrivare alla meta che, alla fine, raggiungiamo a mezzogiorno, ben prima di quanto temevamo! È fatta. Ora ci possiamo riposare. Io ho una gran sete e poca fame. Da qui in poi sarà una passeggiata. Lungo la discesa decido che è il caso di togliere gli scarponi e mettermi le scarpette che avevo portato con me nello zaino proprio per non soffrire in discesa. Peccato che scopro che… ho preso con me due sinistre! Che pirla! Pazienza, soffrirò ancora un po’ e aspetterò di essere alla macchina per ristorarmeli.
Insomma, una avventura questa al Dosso di Cè. Tutto è andato bene, ma il pericolo era dietro l’angolo. Come sempre, mantenere la calma è la cosa più importante da fare, insieme ad usare tutto il materiale che si ha con sé. Anche oggi abbiamo vissuto quello che è la montagna. Poco importa che fosse solo per fare una (anonima) cima di 1140 metri.
Carichi siamo partiti, a più non posso
Per fare, con Menek, oggi questo Dosso.
Ma per la paura di cader nel fosso
A volte ci siam un po’ ca*ati addosso…
Vista da Menek:
Altro giro con il buon Luca Sky ed altra precisa relazione dove aggiungere qualcosa potrebbe risultare difficile se non addirittura stucchevole. Mi preme solo dire che io più di Luca ho insistito per prendere il canale incriminato, con un po più di attenzione e calma probabilmente avremmo trovato la giusta via, ma tant'è. Visto dalla cresta il canale era veramente ostico, una forra incredibile e pericolosa, con sponde assolutamente inaffrontabili. Ma alla fine ne siamo usciti, con cocciutaggine, esperienza e un pizzico di sana pazzia che è quel giusto mix per portare a casa questo tipo di "imprese".
Una volta raggiunto il Dosso di Cè il "famoso" canale che avremmo dovuto prendere sembrava più fattibile, anche se la parte verso il fondovalle era poco visibile; comunque la via di uscita, quella che ci avrebbe portato alla cima, era comunque di una tostezza fuori misura. E parlo della pendenza.
Facile il resto del giro che ci ha riportato all'auto e divertente, per me, la scenetta delle due scarpe sinistre. Comunque caro Luca almeno gli scarponi, più o meno comodi tu li avevi, pensa a quegli idioti con le "infradito" ai piedi o le scarpette da ginnastica "bianco matrimonio" sfoggiate in posti improponibili... quelli si sono stati un vero tocco di "genialità".
Concludo rilanciando per una prossima futura mattata, con ovviamente pizzata finale e birra a corredo.
Grande Luca e alla prossima.
Nota 1): Cazzeggiandum...
Roma. Giorgia Meloni candida il suo braccio destro. Lo vede già teso...
Lerciocomodo: Elenco degli iscritti di Rousseau trasmesso per errore a Mastrota: venduti 58 milioni di materassi.
Lerciotech: Regalo riproduzione macchina volante di Leonardo a chi mi tira giù dall'albero.
A' la prochaine! Menek Bluff
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