Un esperienza particolare: una battuta di caccia al camoscio!
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Premessa:
Penso che quando si parla di caccia, spesso lo si faccia senza le dovute conoscenze di causa. Personalmente ritengo che, se la caccia è condotta in modo razionale, la stessa possa rappresentare un’attività utile sia all’uomo che agli animali stessi. Leggendo il rapporto “Risultati della stagione venatoria 2010/2011 e delle ricerche sulla selvaggina” edito dal competente Ufficio della caccia e della pesca del Cantone Ticino, mi son reso conto della complessità della gestione della caccia nel nostro paese. Vi si trovano anche alcuni dati che dovrebbero far riflettere tutti noi. Un dato su tutti: nella scorsa stagione i caprioli trovati morti (la maggior parte per “incidenti” automobilistici) sono stati ben 392 quindi molti di più dei 324 capi abbattuti dai cacciatori. Ma questo è un argomento che trova già spazio in altre sedi.
L’esperienza:
Mi è stato proposto di accompagnare due cacciatori in una battuta di caccia al camoscio: secondo loro la “vera caccia” in quanto la preda bisogna andarla a scovare con lunghe camminate e in posti tutto meno che agevoli.
Accettato l’invito, l’appuntamento è per la mattina presto: torcia elettrica in mano alle 5.00 in punto si parte!
Già il fatto di camminare in un bosco ancora in piena notte, in silenzio, dove i soli rumori estranei sono quelli degli scarponi fa un certo effetto. Il brontolio del riale sottostante, il canto della civetta e del gufo, qualche scricchiolio sconosciuto, il fruscio delle fronde mosse dal vento, un piccolo ghiro che passa nel fascio di luce: tutte emozioni che prendono l’animo.
Si cammina tranquilli con passo regolare e continuo, ci si innalza abbastanza in fretta lungo la valle selvaggia. Man mano i maestosi castagni lasciano spazio ai faggi, poi ai larici e infine si giunge al limite del bosco dove iniziano i “tipici pascoli di camosci”.
Inizia ad albeggiare. Ci fermiamo un attimo, un sorso d’acqua. I due cacciatori preparano i loro fucili. Si allungano le orecchie e si aguzza la vista: da adesso ogni momento può essere quello giusto.
Ci rimettiamo in cammino; il sentiero sale molto ripido ma la luce dell’alba ci permette di vedere dove poggiamo i piedi. Poi d’un tratto un’ombra si staglia verso il cielo. Deve essere un bel maschio di camoscio: lo scrutiamo con i binocoli. Lui fischia: è il suo segnale di pericolo. I due cacciatori discutono, non sono sicuri della fattibilità del tiro. La caccia è anche responsabilità e sicurezza. Sono indecisi: rinunciano al tiro. Il camoscio ringrazia con un secondo fischio e se ne va.
Peccato: poteva essere una bella preda. No fa niente, riprendiamo il viaggio, circospetti e guardinghi. Saliamo ancora.
Ecco, al limitare di un bosco di larici si intravvede qualche cosa che si muove. I due si mettono in posizione, guardano col binocolo. Si tratta di una bella femmina: sarà sola o avrà il piccolo con sé? Se sola è cacciabile ma se ha il piccolo assolutamente no! E mentre controllano e ricontrollano un vispo “capretto” esce dalle rose delle alpi e si avvicina alla propria mamma. Visione fantastica, restiamo ancora un bel po’ a guardare questa bella coppia. Anche questo è "caccia".
Un altro sorso d’acqua e di nuovo in cammino: siamo ormai alla quota di 1'700 metri. Le cime più alte sono già indorate dal sole ma la valle incassata è ancora tutto in ombra.
Il più giovane dei cacciatori, alla sua prima esperienza venatoria, vede un bel esemplare di camoscio. Sacchi a terra. Mano al binocolo. L’animale sembra di pietra, completamente immobile, guarda verso il basso. Siamo sottovento, non si accorge della nostra presenza. I due controllano l’altezza e la “biforcazione” delle corna. È di nuovo una femmina: sarà “sterla”, ovvero senza piccolo perché non più feconda? Si aspetta, si controlla di nuovo. È sola, se ci fosse il piccolo sarebbe già nei paraggi. Niente: è un capo cacciabile. È un tiro di 150 metri. I due si mettono in posizione. Precedenza al neofita: lo sparo rimbomba in tutta la valle. L’animale si accascia al suolo: tiro perfetto. Andiamo a recuperarlo. Effettivamente si tratta di una vecchia femmina (al controllo risulterà di 10 anni e mezzo e verosimilmente non più in età feconda). Si passa all’eviscerazione, alla misurazione delle corna e all’iscrizione dei dati sulla patente. Un attimo di riposo, qualche fotografia di rito e poi ci incamminiamo verso valle. Potrebbero cacciare ancora altri esemplari ma per oggi è sufficiente: siamo tutti soddisfatti!
Giunti al parcheggio dopo 3 ore di cammino, ci gustiamo una birra fresca e poi si parte per portare la preda al posto di controllo.
L’insegnamento
Per me è stata un’esperienza magnifica. Ho capito anche che per i veri cacciatori è sì importante riuscire a portare a casa qualche preda, ma più importante è tutto l’insieme: l’ambiente, il cercare l’animale, lo studiarlo, il rispettarlo se non rientra nei (numerosi e complicati) parametri di legge, il condividere lo sforzo e le fatiche. D’altra parte dalle statistiche citate all’inizio si apprende che ben un terzo dei cacciatori ticinesi termina la caccia senza alcuna preda, un altro buon terzo con una sola e solo gli altri con almeno due prede. Da questo si evince che molti praticano la caccia per pura passione e non per il gusto di abbattere un animale. Un'esperienza da provare, avendone la possibilità!
Penso che quando si parla di caccia, spesso lo si faccia senza le dovute conoscenze di causa. Personalmente ritengo che, se la caccia è condotta in modo razionale, la stessa possa rappresentare un’attività utile sia all’uomo che agli animali stessi. Leggendo il rapporto “Risultati della stagione venatoria 2010/2011 e delle ricerche sulla selvaggina” edito dal competente Ufficio della caccia e della pesca del Cantone Ticino, mi son reso conto della complessità della gestione della caccia nel nostro paese. Vi si trovano anche alcuni dati che dovrebbero far riflettere tutti noi. Un dato su tutti: nella scorsa stagione i caprioli trovati morti (la maggior parte per “incidenti” automobilistici) sono stati ben 392 quindi molti di più dei 324 capi abbattuti dai cacciatori. Ma questo è un argomento che trova già spazio in altre sedi.
L’esperienza:
Mi è stato proposto di accompagnare due cacciatori in una battuta di caccia al camoscio: secondo loro la “vera caccia” in quanto la preda bisogna andarla a scovare con lunghe camminate e in posti tutto meno che agevoli.
Accettato l’invito, l’appuntamento è per la mattina presto: torcia elettrica in mano alle 5.00 in punto si parte!
Già il fatto di camminare in un bosco ancora in piena notte, in silenzio, dove i soli rumori estranei sono quelli degli scarponi fa un certo effetto. Il brontolio del riale sottostante, il canto della civetta e del gufo, qualche scricchiolio sconosciuto, il fruscio delle fronde mosse dal vento, un piccolo ghiro che passa nel fascio di luce: tutte emozioni che prendono l’animo.
Si cammina tranquilli con passo regolare e continuo, ci si innalza abbastanza in fretta lungo la valle selvaggia. Man mano i maestosi castagni lasciano spazio ai faggi, poi ai larici e infine si giunge al limite del bosco dove iniziano i “tipici pascoli di camosci”.
Inizia ad albeggiare. Ci fermiamo un attimo, un sorso d’acqua. I due cacciatori preparano i loro fucili. Si allungano le orecchie e si aguzza la vista: da adesso ogni momento può essere quello giusto.
Ci rimettiamo in cammino; il sentiero sale molto ripido ma la luce dell’alba ci permette di vedere dove poggiamo i piedi. Poi d’un tratto un’ombra si staglia verso il cielo. Deve essere un bel maschio di camoscio: lo scrutiamo con i binocoli. Lui fischia: è il suo segnale di pericolo. I due cacciatori discutono, non sono sicuri della fattibilità del tiro. La caccia è anche responsabilità e sicurezza. Sono indecisi: rinunciano al tiro. Il camoscio ringrazia con un secondo fischio e se ne va.
Peccato: poteva essere una bella preda. No fa niente, riprendiamo il viaggio, circospetti e guardinghi. Saliamo ancora.
Ecco, al limitare di un bosco di larici si intravvede qualche cosa che si muove. I due si mettono in posizione, guardano col binocolo. Si tratta di una bella femmina: sarà sola o avrà il piccolo con sé? Se sola è cacciabile ma se ha il piccolo assolutamente no! E mentre controllano e ricontrollano un vispo “capretto” esce dalle rose delle alpi e si avvicina alla propria mamma. Visione fantastica, restiamo ancora un bel po’ a guardare questa bella coppia. Anche questo è "caccia".
Un altro sorso d’acqua e di nuovo in cammino: siamo ormai alla quota di 1'700 metri. Le cime più alte sono già indorate dal sole ma la valle incassata è ancora tutto in ombra.
Il più giovane dei cacciatori, alla sua prima esperienza venatoria, vede un bel esemplare di camoscio. Sacchi a terra. Mano al binocolo. L’animale sembra di pietra, completamente immobile, guarda verso il basso. Siamo sottovento, non si accorge della nostra presenza. I due controllano l’altezza e la “biforcazione” delle corna. È di nuovo una femmina: sarà “sterla”, ovvero senza piccolo perché non più feconda? Si aspetta, si controlla di nuovo. È sola, se ci fosse il piccolo sarebbe già nei paraggi. Niente: è un capo cacciabile. È un tiro di 150 metri. I due si mettono in posizione. Precedenza al neofita: lo sparo rimbomba in tutta la valle. L’animale si accascia al suolo: tiro perfetto. Andiamo a recuperarlo. Effettivamente si tratta di una vecchia femmina (al controllo risulterà di 10 anni e mezzo e verosimilmente non più in età feconda). Si passa all’eviscerazione, alla misurazione delle corna e all’iscrizione dei dati sulla patente. Un attimo di riposo, qualche fotografia di rito e poi ci incamminiamo verso valle. Potrebbero cacciare ancora altri esemplari ma per oggi è sufficiente: siamo tutti soddisfatti!
Giunti al parcheggio dopo 3 ore di cammino, ci gustiamo una birra fresca e poi si parte per portare la preda al posto di controllo.
L’insegnamento
Per me è stata un’esperienza magnifica. Ho capito anche che per i veri cacciatori è sì importante riuscire a portare a casa qualche preda, ma più importante è tutto l’insieme: l’ambiente, il cercare l’animale, lo studiarlo, il rispettarlo se non rientra nei (numerosi e complicati) parametri di legge, il condividere lo sforzo e le fatiche. D’altra parte dalle statistiche citate all’inizio si apprende che ben un terzo dei cacciatori ticinesi termina la caccia senza alcuna preda, un altro buon terzo con una sola e solo gli altri con almeno due prede. Da questo si evince che molti praticano la caccia per pura passione e non per il gusto di abbattere un animale. Un'esperienza da provare, avendone la possibilità!
Tourengänger:
Barba
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