Pizzo Rondadura, 3015
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Nel mio immaginario il Pizzo Rondadura è una montagna per pigri. Infatti ci son già stato almeno 5 volte.
Pigrizia mentale, sopratutto: quando non hai voglia di pensare, arrivi al venerdì sera e decidi all'ultimo.
Pigrizia sostanziale, anche: passo del Lucomagno, molli l'auto, sali, togli le pelli, scendi; percorso semplice e abbastanza evidente, ma anche elastico, senza passaggi obbligati, puoi andare un po' random e arrivi sempre su.
Ma è anche una bella montagna, il Rondadura, alta quel tanto, panoramica e con un bel muretto finale che le da un po' di tono.
Da bravi pigri io e Schiep cominciamo a salire alle nove meno dieci, dopo aver constatato una spelacchiatura avanzata che è del resto tradizionale per questa salita esposta est-sud-est e poi sud pieno.
A preoccuparci di più è l'assenza di rigelo notturno anche nei punti più in ombra.
Salendo le iniziali balze, mi rendo anche conto che la neve non è poi così poca; se sul convesso manca, sul concavo abbonda, è già molle e non trasformata a puntino. Altro che pigrizia: a scendere ci sarà da penare.
Fortunatamente una persistente e fresca brezza mitiga bene l'opera del sole.
Davanti a me, un quintale di scialpinista affonda ripetutamente, fornendomi preziose indicazioni riguardo ai passaggi più delicati; tutto sommato si va via abbastanza sciolti e, dopo le ripide vallette iniziali, la situazione migliora.
Superata l'Alpe Scaione, raggiungiamo le balconate inclinate disposte, con orientamento est-ovest, sotto la cresta che unisce il Piz Scai al Rondadura e, superando un ripido salto, ci portiamo su quella superiore.
Continuiamo a salire in direzione ovest per portarci alla base del triangolo di vetta.
Adesso il caldo si fa sentire: Schiep, fermo da due mesi, medita il ritiro; io, fermo da tre settimane, maschero facendo fotografie.
Cinque o sei predecessori sono già sotto di noi, sulla via del ritorno; un altro, invece, sta ravanando sotto il colletto di vetta sul tratto più ripido dell'itinerario. Raggiungiamo il suo "socio" che, rinunciato alla vetta, lo sta aspettando alla base del muro e Schiep decide a sua volta di mollare. Peccato perché da lì è questione di un quarto d'ora.
Il muro gode fama di 40°, ma, secondo me, non li raggiunge se non, forse, per pochi metri sotto il colletto; comunque è un bel muro che mi porta su in fretta e senza particolari problemi, anche se lo trovo parecchio paciugato dai passaggi di discesa. Tento ripetutamente, ma senza successo, di immortalare un bel rapace che mi sorvola tre o quattro volte per sparire rapido dietro la vetta al momento del clic; lascio perdere e sbarco sulla piazzola del colletto, dove tira un bel vento fresco e teso. Mollo gli sci e mi inerpico per i pochi metri di roccette innevate che portano alla vetta.
Eccomi. Affiorano dalla neve, quelli che credo siano i resti di una bandiera tibetana lasciata da Floriano. La croce è veramente brutta.
Sono le undici e trentacinque; dopo qualche foto, ritorno rapidamente agli sci; il "muro" non è niente male: un po' massacrato nei primi metri, ma la pendenza accentuata aiuta la sciata e, più giù, derivando sulla sinistra, mi trovo un bel pezzo di firn quasi nuovo che con una dozzina di curve mi porta dal mio compagno d'avventura. Da lì, ci incanaliamo lungo la balconata che scende in diagonale verso est con neve ancora buona, ma è il pezzo sciisticamente meno divertente; quando dovrebbe iniziare il "bello" inizia il disastro.
La parte bassa dell'itinerario vanta pendenze abbastanza sostenute dove, anche a maggio, mi è capitato di fare eccellenti sciate su neve trasformata, ma oggi non è cosa. La neve è esattamente come ce la aspettavamo in base alle osservazioni fatte durante la salita: fradicia e inconsistente. Sui dossi non ce n'è, ma nelle prospicienti vallette, abbonda e non concede curve; ad ogni tentativo si affonda inesorabilmente, mettendo a repentaglio la salute di tendini e legamenti. La "montagna per pigri" ci rifila la discesa più sudata della storia, al termine della quale troviamo pure la sorpresa. "Passo del Lucomagno chiuso per pericolo valanghe dalle ore 11 alle ore 21. In tali orari, vige il divieto assoluto di circolazione sulla strada "
Il cartello dell'amministrazione ticinese è perentorio.
"E, ma se me lo dicevi prima..." direbbe Jannacci.
Per la verità, c'erano stae delle avvisaglie... A Schiep era parso di vedere un artello che diceva Lucomagno chiuso, ma, neanche il tempo di dirmelo e ci appare un cartello con scritto Lucomagno APERTO. Mica c'hai il tempo di controllare cosa c'è scritto sul piccolo cartellino rosso a fianco:::!
Che si fa? Stiamo qui fermi fino alle 21? Con questo terribile pericolo di valanghe?! Meglio provare ad uscire: ci beccheremo una multa ma almeno, per le due, siamo al sicuro e con le ginocchia sotto un birrino.
Nelle mie riminiscenze lucomagniche, riaffiora un episodio analogo, in cui un simpatico signore, dopo una decina di minuti di attesa, mi aveva aperto la sbarra.
Ci fiondiamo giù per la strada, ma a Campra, come da riminiscenza la sbarra è abbassata.
La soluzione che ci prospettano i due che erano su sotto la vetta prima di noi e che sono pure loro in trappola è quella di aggirare il tutto scendando per una strada che porta alla pista di fondo ormai in disuso, (ma ancora ben innevata) e risalire dall'altra parte. "Tu hai il 4x4 e gomme da neve io ho le catene, di pale ne abbiamo quattro..."
La soluzione più sensata, dico io, è andare al ristorante a bersi una birra e sentire un po' che si può fare.
Per la birra tutto bene, salumi, pure, ma per il resto situazione difficile. Dopo una serie di telefonate e messaggini imploranti il responsabile ed unico detentore della chiave, ci comunica definitivamente che lui è in giro in bicicletta e che prima delle 19 non si presenta! Se va bene riesce a limare un'oretta!
Scolata anche una grappa, ci pieghiamo all'opzione a.
Giù deciso per la strada alternativa e... neve fino al cofano! Duro la voro di pale precedentemente mai uscite dagli zaini e in venti minuti il Toyota è dall'altra parte. Per il Golf catenato il discorso è un po' diverso, ma la faccio breve: dopo scavi, spinte e traini,alle cinque, un'ora prima del possibile arrivo dell'uomo della sbarra, il Golf è fuori anche lui. Ustionati dal sole e soddisfatti per la bella giornata da pigri ci buttiamo in macchina e torniamo a casa.
Una sola, ultima considerazione. Fatta la dovuta ammenda per l'ignoranza della legge, che, se non è ammessa in Italia, in Svizzera figuriamoci, mi sembra che la gestione del passo Lucomagno non risponda alla tradizionale precisione elvetica: o c'è pericolo di valanghe, e allora logica dice che se qualcuno, per errore, per dolo, per fatalità, resta chiuso nella zona pericolosa, deve essere tirato fuori il più in fretta possibile e quindi, sempre a fil di logica la chiave deve essere sul posto, in uno dei ristori posizionati a cento metri dalla sbarra, oppure non c'è pericolo di valanghe e allora... mi facciano il piacere...!
Pigrizia mentale, sopratutto: quando non hai voglia di pensare, arrivi al venerdì sera e decidi all'ultimo.
Pigrizia sostanziale, anche: passo del Lucomagno, molli l'auto, sali, togli le pelli, scendi; percorso semplice e abbastanza evidente, ma anche elastico, senza passaggi obbligati, puoi andare un po' random e arrivi sempre su.
Ma è anche una bella montagna, il Rondadura, alta quel tanto, panoramica e con un bel muretto finale che le da un po' di tono.
Da bravi pigri io e Schiep cominciamo a salire alle nove meno dieci, dopo aver constatato una spelacchiatura avanzata che è del resto tradizionale per questa salita esposta est-sud-est e poi sud pieno.
A preoccuparci di più è l'assenza di rigelo notturno anche nei punti più in ombra.
Salendo le iniziali balze, mi rendo anche conto che la neve non è poi così poca; se sul convesso manca, sul concavo abbonda, è già molle e non trasformata a puntino. Altro che pigrizia: a scendere ci sarà da penare.
Fortunatamente una persistente e fresca brezza mitiga bene l'opera del sole.
Davanti a me, un quintale di scialpinista affonda ripetutamente, fornendomi preziose indicazioni riguardo ai passaggi più delicati; tutto sommato si va via abbastanza sciolti e, dopo le ripide vallette iniziali, la situazione migliora.
Superata l'Alpe Scaione, raggiungiamo le balconate inclinate disposte, con orientamento est-ovest, sotto la cresta che unisce il Piz Scai al Rondadura e, superando un ripido salto, ci portiamo su quella superiore.
Continuiamo a salire in direzione ovest per portarci alla base del triangolo di vetta.
Adesso il caldo si fa sentire: Schiep, fermo da due mesi, medita il ritiro; io, fermo da tre settimane, maschero facendo fotografie.
Cinque o sei predecessori sono già sotto di noi, sulla via del ritorno; un altro, invece, sta ravanando sotto il colletto di vetta sul tratto più ripido dell'itinerario. Raggiungiamo il suo "socio" che, rinunciato alla vetta, lo sta aspettando alla base del muro e Schiep decide a sua volta di mollare. Peccato perché da lì è questione di un quarto d'ora.
Il muro gode fama di 40°, ma, secondo me, non li raggiunge se non, forse, per pochi metri sotto il colletto; comunque è un bel muro che mi porta su in fretta e senza particolari problemi, anche se lo trovo parecchio paciugato dai passaggi di discesa. Tento ripetutamente, ma senza successo, di immortalare un bel rapace che mi sorvola tre o quattro volte per sparire rapido dietro la vetta al momento del clic; lascio perdere e sbarco sulla piazzola del colletto, dove tira un bel vento fresco e teso. Mollo gli sci e mi inerpico per i pochi metri di roccette innevate che portano alla vetta.
Eccomi. Affiorano dalla neve, quelli che credo siano i resti di una bandiera tibetana lasciata da Floriano. La croce è veramente brutta.
Sono le undici e trentacinque; dopo qualche foto, ritorno rapidamente agli sci; il "muro" non è niente male: un po' massacrato nei primi metri, ma la pendenza accentuata aiuta la sciata e, più giù, derivando sulla sinistra, mi trovo un bel pezzo di firn quasi nuovo che con una dozzina di curve mi porta dal mio compagno d'avventura. Da lì, ci incanaliamo lungo la balconata che scende in diagonale verso est con neve ancora buona, ma è il pezzo sciisticamente meno divertente; quando dovrebbe iniziare il "bello" inizia il disastro.
La parte bassa dell'itinerario vanta pendenze abbastanza sostenute dove, anche a maggio, mi è capitato di fare eccellenti sciate su neve trasformata, ma oggi non è cosa. La neve è esattamente come ce la aspettavamo in base alle osservazioni fatte durante la salita: fradicia e inconsistente. Sui dossi non ce n'è, ma nelle prospicienti vallette, abbonda e non concede curve; ad ogni tentativo si affonda inesorabilmente, mettendo a repentaglio la salute di tendini e legamenti. La "montagna per pigri" ci rifila la discesa più sudata della storia, al termine della quale troviamo pure la sorpresa. "Passo del Lucomagno chiuso per pericolo valanghe dalle ore 11 alle ore 21. In tali orari, vige il divieto assoluto di circolazione sulla strada "
Il cartello dell'amministrazione ticinese è perentorio.
"E, ma se me lo dicevi prima..." direbbe Jannacci.
Per la verità, c'erano stae delle avvisaglie... A Schiep era parso di vedere un artello che diceva Lucomagno chiuso, ma, neanche il tempo di dirmelo e ci appare un cartello con scritto Lucomagno APERTO. Mica c'hai il tempo di controllare cosa c'è scritto sul piccolo cartellino rosso a fianco:::!
Che si fa? Stiamo qui fermi fino alle 21? Con questo terribile pericolo di valanghe?! Meglio provare ad uscire: ci beccheremo una multa ma almeno, per le due, siamo al sicuro e con le ginocchia sotto un birrino.
Nelle mie riminiscenze lucomagniche, riaffiora un episodio analogo, in cui un simpatico signore, dopo una decina di minuti di attesa, mi aveva aperto la sbarra.
Ci fiondiamo giù per la strada, ma a Campra, come da riminiscenza la sbarra è abbassata.
La soluzione che ci prospettano i due che erano su sotto la vetta prima di noi e che sono pure loro in trappola è quella di aggirare il tutto scendando per una strada che porta alla pista di fondo ormai in disuso, (ma ancora ben innevata) e risalire dall'altra parte. "Tu hai il 4x4 e gomme da neve io ho le catene, di pale ne abbiamo quattro..."
La soluzione più sensata, dico io, è andare al ristorante a bersi una birra e sentire un po' che si può fare.
Per la birra tutto bene, salumi, pure, ma per il resto situazione difficile. Dopo una serie di telefonate e messaggini imploranti il responsabile ed unico detentore della chiave, ci comunica definitivamente che lui è in giro in bicicletta e che prima delle 19 non si presenta! Se va bene riesce a limare un'oretta!
Scolata anche una grappa, ci pieghiamo all'opzione a.
Giù deciso per la strada alternativa e... neve fino al cofano! Duro la voro di pale precedentemente mai uscite dagli zaini e in venti minuti il Toyota è dall'altra parte. Per il Golf catenato il discorso è un po' diverso, ma la faccio breve: dopo scavi, spinte e traini,alle cinque, un'ora prima del possibile arrivo dell'uomo della sbarra, il Golf è fuori anche lui. Ustionati dal sole e soddisfatti per la bella giornata da pigri ci buttiamo in macchina e torniamo a casa.
Una sola, ultima considerazione. Fatta la dovuta ammenda per l'ignoranza della legge, che, se non è ammessa in Italia, in Svizzera figuriamoci, mi sembra che la gestione del passo Lucomagno non risponda alla tradizionale precisione elvetica: o c'è pericolo di valanghe, e allora logica dice che se qualcuno, per errore, per dolo, per fatalità, resta chiuso nella zona pericolosa, deve essere tirato fuori il più in fretta possibile e quindi, sempre a fil di logica la chiave deve essere sul posto, in uno dei ristori posizionati a cento metri dalla sbarra, oppure non c'è pericolo di valanghe e allora... mi facciano il piacere...!
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