Monte Nembra, 2678 da diga di Frera
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Tutti conosciamo il Passo dell'Aprica.
Sapientemente massacrato dalla mano dell'uomo, ha cambiato sesso, diventando semplicemente l' Aprica, brillante galleria di orrori architettonici e fulgido esempio di pianificazione del territorio, che, a dispetto dei suoi torturatori, è tutt'ora in grado di regalare, a patto di farsi qualche chilometro, luoghi e momenti di grande bellezza, in estate come d'inverno.
Qui ho la fortuna di poter usufruire di un appartamento che mio padre comprò moltissimi anni fa. All'inizio del massacro.
La Val Belviso, che si incontra, arrivando dal bivio di Tresenda sulla statale 38, pochi chilometri prima di arrivare al passo, è un gioiello che per parecchi anni ho frequentato abbondantemente d'estate, ma al quale ho reso rare visite d'inverno, quando presenta il suo lato più arcigno e severo.
I "locali", però, sanno che là, nella valle, sci ai piedi, ci si può togliere delle belle soddisfazioni.
A patto di coniugare prudenza e pazienza.
Sabato sulle piste. Dalla seggiovia della Magnolta ci accorgiamo che sono saliti lungo la Valle del Latte.
Non sarà un po' pericoloso, viste le recenti nevicate?
Altro giro sulla seggiovia e li vediamo scendere.
Siamo lontani, ma sembra veramente buona. Internet ci aiuta: domani sole sparato; Arpa Lombardia dice 2. Andiamo a vedere.
Compagno d'avventura, non può essere che Il Capitano. All'Aprica, ha casa nell'appartamento di fianco, per cui siamo perennemente in gara per il titolo di scialpinista più forte del pianerottolo.
Di partire presto, però, per una ragione o per l'altra, non se ne parla: dopo venti minuti di macchina e dieci a piedi per trovare l'attacco, alle nove e venti ci infiliamo fra gli abeti. Classica salita orobica, all'inizio: tortuoso sentiero che risale rapidamente il bosco ma che, sufficientemente innevato, non ci da problemi e ha anzi il pregio di "portarci su" rapidamente. Dopo tre quarti d'ora usciamo dal fitto e superiamo la Malga Nembra, il terreno si fa più aperto e meno ripido anche se sopra di noi torreggia il Monte Frera (vecchia conoscenza del Capitano e mia) che è solito scaricare poderose valanghe lungo il largo canale che, fidando nel bollettino e in un sommario esame visivo, ora stiamo attraversando; del resto non siamo i primi.
Aggiriamo i pendii del Frera e arriviamo al cospetto della Valle del Latte. Ambiente stupendo, giornata incredibile. Alla nostra sinistra, alti sopra di noi, quattro camosci (rupicapra rupicapra) attraversano un pendio; alti sopra di noi, di fronte, quattro umani già si muovono sulla vetta.
La risalita della Valle del Latte, viste le ottime condizioni di innevamento, si presenta tecnicamente poco difficile ed esteticamente superlativa. Mi ritrovo a domandarmi perché frequento così poco la Val Belviso, che pure conosco bene.
I quattro umani appartengono ovviamente alla specie "scialpinista scialpinista" e stanno già scendendo, magno cum gaudio, nella polvere della Valle del Latte; arrivati più o meno alla nostra altezza, chi un po' più su, chi un po' più giù, si fermano a trafficare. Tutti e quattro stanno ripellando (è un mondo difficile: ormai è di moda esagerare). "Sì, torniamo su, perché scendiamo dall'altra parte... abbiamo una macchina di là."
Dall'altra parte, c'è il Vallone delle Rose, che si stacca dalla sella fra Monte Nembra e Monte Telenek, dirimpettaio 75 metri più alto, e scivola per 700 metri verso il fondo della Valle di Campovecchio, con esposizione nord-nordovest; l'ho fatto "qualche" anno fa, da ragazzino, in luglio, con un sacco della spazzatura sotto il sedere. Divertente.
Arriviamo in vetta; venticello gelido, blu che più blu e panorama spettacolare a 360°. Capitan Piero si fa tentare: " se non lo facciamo oggi, non lo facciamo più... andiamo giù con loro, uno di noi si fa dare un passaggio di qua per prendere la macchina..." " ...e facciamo notte!"
Bocciato. La Valle del Latte è piena di farina; non rompere le uova. In effetti, a parte un paio di cento metri di dislivello la Valle non ha nulla da invidiare al Vallone e lo dimostra alla grande: gran sci fino al traverso sotto il Frera, poi ancora giù fino al bosco.
Qui la musica cambia. Improvvisamente mi ricordo perché, normalmente, trascuro la Val Belviso: questi boschi sono buoni, ottimi, per cercar funghi, ma sciarci... La neve, che per salire era più che sufficiente, ora sembra tremendamente poca e rami, radici e sassi la fanno da padroni. Le curve scarseggiano, derapate e inversioni troneggiano, spuntano anche le "scalette". E' la classica "discesa orobica", fucina di scialpinisti intemerati e gioia dei negozianti di sci.
Tutto sommato, però, va meglio della precedente esperienza risalente allo scorso anno: in tempi ragionevoli riusciamo a portare in macchina le ginocchia e a casa il ricordo di una bella avventura.
PP.SS.:
Perdonate, ma le foto, questa volta, le ho prese con il telefonino, senza riuscire a vedere nulla di quello che facevo.
Rilevo e mi permetto di segnalare qualche piccolo errore sulla mappa.
Il Monte Telenek, vicinissimo al Nembra, è indicato correttamente, ma sul suo punto sommitale compare la scritta Monte Sellero, che, in realtà sta un poco più a sud, dove è correttamente segnato da un waypoint.
Sulla dorsale tra Telenek e Sellero, compare una crocetta che indica Monte Torena, che non è lì, ma più ad ovest, dall'altra parte del lago Belviso (non Beluiso), dove è correttamente indicato da un altro waypoint
Sapientemente massacrato dalla mano dell'uomo, ha cambiato sesso, diventando semplicemente l' Aprica, brillante galleria di orrori architettonici e fulgido esempio di pianificazione del territorio, che, a dispetto dei suoi torturatori, è tutt'ora in grado di regalare, a patto di farsi qualche chilometro, luoghi e momenti di grande bellezza, in estate come d'inverno.
Qui ho la fortuna di poter usufruire di un appartamento che mio padre comprò moltissimi anni fa. All'inizio del massacro.
La Val Belviso, che si incontra, arrivando dal bivio di Tresenda sulla statale 38, pochi chilometri prima di arrivare al passo, è un gioiello che per parecchi anni ho frequentato abbondantemente d'estate, ma al quale ho reso rare visite d'inverno, quando presenta il suo lato più arcigno e severo.
I "locali", però, sanno che là, nella valle, sci ai piedi, ci si può togliere delle belle soddisfazioni.
A patto di coniugare prudenza e pazienza.
Sabato sulle piste. Dalla seggiovia della Magnolta ci accorgiamo che sono saliti lungo la Valle del Latte.
Non sarà un po' pericoloso, viste le recenti nevicate?
Altro giro sulla seggiovia e li vediamo scendere.
Siamo lontani, ma sembra veramente buona. Internet ci aiuta: domani sole sparato; Arpa Lombardia dice 2. Andiamo a vedere.
Compagno d'avventura, non può essere che Il Capitano. All'Aprica, ha casa nell'appartamento di fianco, per cui siamo perennemente in gara per il titolo di scialpinista più forte del pianerottolo.
Di partire presto, però, per una ragione o per l'altra, non se ne parla: dopo venti minuti di macchina e dieci a piedi per trovare l'attacco, alle nove e venti ci infiliamo fra gli abeti. Classica salita orobica, all'inizio: tortuoso sentiero che risale rapidamente il bosco ma che, sufficientemente innevato, non ci da problemi e ha anzi il pregio di "portarci su" rapidamente. Dopo tre quarti d'ora usciamo dal fitto e superiamo la Malga Nembra, il terreno si fa più aperto e meno ripido anche se sopra di noi torreggia il Monte Frera (vecchia conoscenza del Capitano e mia) che è solito scaricare poderose valanghe lungo il largo canale che, fidando nel bollettino e in un sommario esame visivo, ora stiamo attraversando; del resto non siamo i primi.
Aggiriamo i pendii del Frera e arriviamo al cospetto della Valle del Latte. Ambiente stupendo, giornata incredibile. Alla nostra sinistra, alti sopra di noi, quattro camosci (rupicapra rupicapra) attraversano un pendio; alti sopra di noi, di fronte, quattro umani già si muovono sulla vetta.
La risalita della Valle del Latte, viste le ottime condizioni di innevamento, si presenta tecnicamente poco difficile ed esteticamente superlativa. Mi ritrovo a domandarmi perché frequento così poco la Val Belviso, che pure conosco bene.
I quattro umani appartengono ovviamente alla specie "scialpinista scialpinista" e stanno già scendendo, magno cum gaudio, nella polvere della Valle del Latte; arrivati più o meno alla nostra altezza, chi un po' più su, chi un po' più giù, si fermano a trafficare. Tutti e quattro stanno ripellando (è un mondo difficile: ormai è di moda esagerare). "Sì, torniamo su, perché scendiamo dall'altra parte... abbiamo una macchina di là."
Dall'altra parte, c'è il Vallone delle Rose, che si stacca dalla sella fra Monte Nembra e Monte Telenek, dirimpettaio 75 metri più alto, e scivola per 700 metri verso il fondo della Valle di Campovecchio, con esposizione nord-nordovest; l'ho fatto "qualche" anno fa, da ragazzino, in luglio, con un sacco della spazzatura sotto il sedere. Divertente.
Arriviamo in vetta; venticello gelido, blu che più blu e panorama spettacolare a 360°. Capitan Piero si fa tentare: " se non lo facciamo oggi, non lo facciamo più... andiamo giù con loro, uno di noi si fa dare un passaggio di qua per prendere la macchina..." " ...e facciamo notte!"
Bocciato. La Valle del Latte è piena di farina; non rompere le uova. In effetti, a parte un paio di cento metri di dislivello la Valle non ha nulla da invidiare al Vallone e lo dimostra alla grande: gran sci fino al traverso sotto il Frera, poi ancora giù fino al bosco.
Qui la musica cambia. Improvvisamente mi ricordo perché, normalmente, trascuro la Val Belviso: questi boschi sono buoni, ottimi, per cercar funghi, ma sciarci... La neve, che per salire era più che sufficiente, ora sembra tremendamente poca e rami, radici e sassi la fanno da padroni. Le curve scarseggiano, derapate e inversioni troneggiano, spuntano anche le "scalette". E' la classica "discesa orobica", fucina di scialpinisti intemerati e gioia dei negozianti di sci.
Tutto sommato, però, va meglio della precedente esperienza risalente allo scorso anno: in tempi ragionevoli riusciamo a portare in macchina le ginocchia e a casa il ricordo di una bella avventura.
PP.SS.:
Perdonate, ma le foto, questa volta, le ho prese con il telefonino, senza riuscire a vedere nulla di quello che facevo.
Rilevo e mi permetto di segnalare qualche piccolo errore sulla mappa.
Il Monte Telenek, vicinissimo al Nembra, è indicato correttamente, ma sul suo punto sommitale compare la scritta Monte Sellero, che, in realtà sta un poco più a sud, dove è correttamente segnato da un waypoint.
Sulla dorsale tra Telenek e Sellero, compare una crocetta che indica Monte Torena, che non è lì, ma più ad ovest, dall'altra parte del lago Belviso (non Beluiso), dove è correttamente indicato da un altro waypoint
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