Dopo 1 h e 23 minuti di tranquillo cammino entro in un dolcissimo paesaggio illuminato dal sole: mi trovo sulla larga sella del Passo della Garina (1417 m).
Ecco come Max Frisch descrive l’arrivo di “Geiser” al Passo della Garina:

…Verso il valico è meno ripido -
Ancora dieci anni fa (il signor Geiser va per i settantaquattro) e col sole era una passeggiata, una gita di due ore e mezza tra andata e ritorno.
La sua memoria aveva ragione:
un largo valico, pascoli, muretti a secco in quadrangolo e bosco con radure, soprattutto alberi a foglie caduche (ma sono faggi, non betulle) e un paio di case disperse (non stalle, ma case di vacanze abbandonate) e sul pascolo aperto il sentiero si perde, il più delle volte è così.
Una sosta ci sarebbe voluta.
La certezza che nessuno può sapere dove il signor Geiser si trovi in questo momento, il signor Geiser se l’è goduta.
Non un capo di bestiame -
Non un uccello -
Non un suono -
Solo per avere una visione d’insieme e per sapere prima della sosta cosa lo attenda dall’altra parte - secondo la carta esiste un sentiero, fiancheggiato da molti tratteggi che significano rocce - il signor Geiser è andato avanti. Senza sentiero. Non esiste però una veduta dell’altra valle, soltanto bosco che si fa più ripido, sottobosco tra pietrame coperto di muschio, dove si continua a inciampare e alla fine non si sa più come tirare avanti senza scivolare. All’affanno si aggiungono la paura, la fretta, la rabbia contro se stessi e il sudore, e dove il folto si dirada il pendio si fa ancora più ripido; camminare eretti è ormai quasi impossibile. Diventa un’arrampicata a quattro zampe, in cui un’ora costa più forze di tre ore su un sentiero, da radice a radice, e improvvisamente ecco delle pareti di roccia -
Un passo falso ed è finita.
Il signor Geiser non sarebbe il primo.
Improvvisamente si può contare solo sulla fortuna. …
Da Max Frisch, L’uomo nell’Olocene, Einaudi, 1981, pagine 71-72.
 
 

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