Nel silenzio della montagna mi lascio andare a riflessioni filosofiche. A tal proposito calza a pennello un brano estratto da una pubblicazione dello scrittore e geografo Eugenio Turri (Grezzana, 1927 – Verona, 2005):
“Il paesaggio e il silenzio”
Marsilio Editore, Venezia 2004.
Il rumore e il silenzio
Il tempo del paesaggio non è il tempo dell’uomo. Il tempo del paesaggio è il tempo del silenzio, il tempo dell’uomo è quello del rumore.
Osserviamo dall’alto di una vena alpina la vallata sottostante, densa di case, di campi, di traffici, di industrie. Tutto laggiù vive, è dinamismo, lo si avverte anche dal rumore che sale verso l’alto, che si fa sentire anche all’alta quota dove ci troviamo, da cui esala invece il silenzio proprio dell’alta montagna, dei luoghi di natura estranei ad ogni antropizzazione. E allora, constatando la diversità dei piani altitudinali e la crescita del silenzio con l’altitudine, si richiamano i versi di Gotama Buddha (nel Sattanipato): “Ove è rumore ivi è difetto, ciò che è pieno è in sé raccolto. Questo imparate dai flutti dei fiumi, dai rivi dei monti, dalle rumoreggiami cascate: loquaci fluiscono le loro correnti, tacito e grande ondeggia l’oceano…”.
È una metafora, questa del Buddha, o un modello di mondo che ha profonde implicazioni filosofiche. Da un lato, in basso, il brusio del mondo, il rumore, le cose che vivono e bruciano energia (rumore come attrito, attrito che produce calore, dissipazione di energia), dall’altro le cose che principiano e finiscono (il cielo, l’oceano) nei grandi silenzi del tutto e del nulla.

 
 

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