Monte Torresella (2246 m)
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Per la prima uscita in montagna dopo la quarantena, mi prefiggo l’intento di raggiungere il Monte Torresella (Toresella sulla CNS), cima poco conosciuta scovata all'interno della guida “Mesolcina Spluga” durante le lunghe letture del lockdown. Dalla Valle San Jorio sembra interessante il percorso lungo il crestone E, citato dal Brenna nella sua guida delle Alpi mesolcinesi, magari scendendo al ritorno lungo il solatio versante S dove sorgono alcuni alpeggi ormai abbandonati.
Già raggiungere la partenza è un’avventura: la stretta stradina sembra infinita e non bisogna perdere la speranza di arrivare. Lasciata l’auto prima del divieto di transito, mi incammino verso Ceresa sulla strada cementata e sterrata. Raggiunto l’abitato, in prossimità di un bivio, proseguo a destra sulla carrareccia, per poi abbandonarla dopo qualche centinaio di metri e salire a sinistra in direzione di un gruppo di baite. Seguo la traccia dietro di esse che si addentra nel bosco verso sinistra e poco dopo imbocco a destra una deviazione con le indicazioni per “Cresta”, che porta in breve ad una casa isolata preceduta da una bella fioritura di ginestre. La traccia si biforca a mezzacosta sul retro della baita e prendo quella più a monte. Proseguo nel bosco per un buon tratto, con alcune ascese oblique verso destra, fino a sbucare in spazi più aperti con bella vista sul Cardinello e la Val Fiumetto. Superate altre baite, un cartello giallo indica verso N il Rifugio Vincino. Qui abbandono il sentiero per salire a sinistra e raggiungere nel bosco di conifere l’inizio del crestone E dove, leggermente più avanti e poco distanti tra loro, ci sono due ometti di pietre alti quasi due metri. Proseguendo, la dorsale si restringe ma si percorre senza problemi, talvolta lungo il filo roccioso, talvolta poco sotto nella ripida faggeta a destra, mentre sulla sinistra c’è un profondo avvallamento. Giunto al termine del bosco, a circa 1450 m di quota, la vetta è osservabile distintamente così come tutto il percorso per raggiungerla, sostanzialmente obbligato: si percorre il culmine della cresta, tranne per un breve risalto di rocce iniziale da superare lato N. Sulla dorsale, spesso larga e prevalentemente erbosa, è grosso modo sempre presente un sentierino di capre, l’ascesa è piacevole ma la giornata calda oltre le aspettative, il che contribuisce al sopraggiungere della stanchezza dovuta anche al lungo stop. Bellissime però le fioriture di genziane, primule e crochi a contraddistinguere una primavera pienamente sbocciata ed il cui spettacolo contribuisce ad alleviare la fatica, mentre le coturnici nascoste nell’erba partono in volo con fragorosi frullii d’ali. Proseguendo, giungo ad una lapide commemorativa e poco più avanti la cresta si impenna. Mi sposto allora a sinistra del filo roccioso e, appoggiando qua e là le mani ma senza particolari difficoltà, raggiungo la vetta.
Il cielo inizialmente terso si è ora addensato di nubi che guastano parzialmente il panorama, ma il clima adesso è perfetto ed il luogo assai distante dalla civiltà, regalandomi più di un’ora di tranquillità assoluta con pennichella annessa. Bella la mole innevata del Marmontana, all’orizzonte s’intravede il lago tra la foschia e dalla parte opposta l’ancora imbiancato versante elvetico degrada lungamente in direzione di un lontano fondovalle. Una gioia essere qui dopo due mesi che sono sembrati un’eternità.
Risvegliatomi quindi in un’atmosfera plumbea, inizio a scendere lungo il pendio meridionale, puntando ai ben visibili ruderi dell’Alpe Torresella, adagiati su un bucolico pascolo 500 metri più in basso. Altra sosta (oggi ne ho contate parecchie) prima di imboccare la flebile traccia (segnata sulla CNS) che con ampi risvolti scende a Medè. Giunto alla grossa stalla, anziché continuare la discesa verso l’Alpe Giovo, decido di percorrere la stretta ed esposta traccia che taglia il versante passando nei pressi di quel che resta dell’Alpe Paradino prima di rituffarsi nel bosco, raggiungere Piazzolo e di nuovo Ceresa, dove qualche indaffarato alpigiano sta sistemando la baita, zappando l’orto o sfamando gli animali. Scene rinfrancanti dopo questo periodo nero e, anche se siamo ancora in allarme, un giusto modo per ripartire tra le proprie amate montagne.
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