Piz la Mazza (2815 m)
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Oggi è chiaro che non sarà una giornata dalla meteo super… nei giorni scorsi controllo le previsioni per un po’ di località diverse, a Nord e a Sud delle Alpi, ed in nessuna di esse il tempo sembra essere davvero migliore, così scarto sia una meta “super” in zona Bernina, che una “classica” in Val Bedretto e decido di puntare ad una vetta, sconosciuta come piace a me: il Piz la Mazza (2815 m), in Val d'Avers da Ausserferrera.
Parcheggio la macchina che sono circa le 7 e parto, seguendo la strada che porta a Cresta. La frontale, accesa solo per poche decine di minuti. Quando incomincia a schiarire, realizzo che la nuvolosità è molto di più di quello che mi aspettavo, ma non fa nulla: mi dico, oggi probabilmente sarò in vetta in mezzo alla nebbia, ma la montagna è bella da gustare anche con il tempo incerto, anzi, è un modo diverso di viverla! Riesco a salire senza ciaspole per un bel po’, evitando con cura i tratti ghiacciati. Arrivato in prossimità di Alp Sut Fuina, il panorama finalmente si apre. Di fronte a me, la vallata che porta al Pass da Schmorras, la mia meta, da qualche parte sulla destra. C’è una bella traccia che sale lungo la crestina dove passa il sentiero estivo. La seguo, ma la neve è così dura che riesco addirittura a tagliare un po’ di zigzag degli scialpinisti quasi senza sprofondare. Incomincia a nevischiare. In corrispondenza del P2392, incomincia la parte davvero interessante: uno scivolo, compreso tra una bastionata di rocce a sinistra ed uno strapiombo a destra, ma molto largo e mai pericoloso. In un paio di tratti, le pendenze aumentano. Il primo va affrontato direttamente, seguendo le flebili tracce degli sci che sembrano aver faticato a tenere, la seconda va invece aggirata, stando più vicino alla parete rocciosa. Nell’ultimo tratto è necessario compiere come una esse, con la cima sopra di me. Non è chiaro dove questa si trovi esattamente, ma il mio GPS mi indica con precisione direzione e distanza, finché non incomincia a comparire l’ometto di vetta.
A parte il massiccio e imponente Piz Grisch, alla mia sinistra, tutte le altre vette che, più o meno lontane, mi circondano risultano velate da nubi leggerissime, che vagano sospinte dal vento, nascondendo o scoprendo questa o quella regione. Così, è tutto un continuo di prendere e riporre la macchina fotografica, per riuscire a immortalarne il più possibile. Non fa particolarmente freddo, come un paio di settimane fa al Bruschghorn. Il libro di vetta, su cui segno il mio passaggio, risale al 2006, con una manciata di firme ogni anno. Quando le nubi incominciano ad avvolgere anche me decido che è il momento di scendere. Una volta superato lo scivolo, decido di percorrere una via un po’ diversa rispetto alla salita, tenendomi molto più largo e giocando a scendere a balzelloni dall’enorme pendio, quasi immacolato, che porta all’Aua da Mulegn, il torrente principale della vallata, di cui seguo, in traverso, tutta una riva, superando qualche suo minuscolo affluente. Il resto della discesa è anonimo, in mezzo ai boschi, salvo il passaggio dal paesino di Cresta, in cui noto l’unica traccia di una presenza umana della giornata: un paio di ciaspole messe ad asciugare fuori da una casa, ci cui avevo notato le impronte, fin a Alp Sut Fuina.
Anche se, come sapevo, il tempo è stato poco clemente, la montagna è sempre bella da gustare, e forse sono proprio queste situazioni a farmelo capire di più.
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