Punta del Talamone (2488 m)
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La Valle dei “Tremendi”, il cui nome evoca eventi storici e leggende, si rifà al carattere tenace dei residenti, alla storia di Fra Dolcino e Margherita e alle vicende del brigante Pietro Bangher. E’ un luogo che, soprattutto d’inverno, garantisce lunghi itinerari in ambiente selvaggio, dal fascino tipicamente valsesiano, su montagne ingiustamente trascurate che offrono incantevoli panorami circolari tra i più suggestivi delle Alpi. Una di queste montagne è la Punta del Talamone, immediatamente messa in lista dopo averne assaporato le descrizioni sulla guida scialpinistica del Maffeis.
Lasciata l’auto nel comodo parcheggio all’inizio del paesino di Rassa, mi incammino quindi di buon’ora lungo la Val Sorba. Visto l’abbondante innevamento, le racchette posso calzarle subito e tutta la prima parte dell’itinerario è addomesticata dalla stradina/mulattiera che percorre il fondo del vallone fin nei pressi dell’Alpe il Dosso. Qui un ponticello consente di portarsi sul versante destro orografico del Torrente Sorba e, tramite una comoda pista per MTB (cartelli), arrivo più in alto nella conca della Bosa, dove lo sguardo si apre su tutto il versante di salita. Una buona traccia facilita la progressione e mi porto al centro della conca per salire sulla destra un ripido pendio tra i larici, al termine del quale con un traverso a sinistra raggiungo la zona dell’Alpe Talamone (che francamente non ho individuato, forse sepolta dalla neve). Punto quindi verso E, inizialmente con un tratto pianeggiante, poi superando ripidi dossi e ampie conche; lasciato sulla sinistra il Lago Talamone, salgo un ripido pendio (ultimo tratto pedinato senza fare inversioni, visibile qualche peste) tramite il quale sbuco al sole sull’ampia e caratteristica cresta denominata Schiena Piatta. Tira un vento gelido ma la dorsale è ampia e facile, oltre che molto panoramica e timidamente riscaldata da un sole sfavillante. Salgo passo dopo passo nella solitudine più assoluta, tenendo sul finale il culmine e badando a qualche cornice, fino a raggiungere la vetta.
La vista che mi si presenta è illimitata e magnifica: il Rosa domina a picco sulle valli di Rassa, in lontananza Monte Bianco e Gran Paradiso luccicano di neve, il Monviso all’orizzonte fa capolino, dalla parte opposta si ergono le montagne valtellinesi ed in primo piano la Cima di Bo, mentre una ripugnante nebbiolina ristagna sulla pianura e gli Appennini completano il quadro facendo da sfondo.
Vorrei che il tempo si fermasse per farmi godere il più a lungo possibile di questa meraviglia, ma arriva sempre il momento di scendere dopo la consueta sosta. Il vento cessa e scivolo così piacevolmente a valle, prima sull’illuminata dorsale e poi nell’ombroso vallone. Per i primi metri di discesa dalla cresta, nel tratto pedinato, ho preferito mettere i ramponi e scendere faccia a monte, dopodiché gli ampi pendii mi consentono di ritornare a La Bosa piuttosto rapidamente. Qui giunto, anziché scendere lungo la pista dell’andata, decido di proseguire sulla stessa per raggiungere in leggera salita l’Alpe Sorbella, dalla quale imbocco il sentiero estivo che scende al Ponte della Prabella. Tale sentiero, comunque già percorso in passato, con la neve non risulta evidente e devo seguire minuziosamente gli sporadici segnavia sugli alberi e le poco marcate tracce presenti per non perdere la direzione. Raggiunto il ponte, chiudo l’anello e percorro all’imbunire i 2,5 chilometri di vallone per tornare a Rassa, mentre anche il giorno si chiude a ricordo dell’ennesimo viaggio solitario compiuto per monti.
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