Büs di Pegur
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Alla fine del mese di maggio, in occasione di una breve escursione all'Alpe Spessola, nei pressi delle sorgenti del Lambro, avevamo notato - chiaramente individuabile dalle indicazioni presenti - l'ingresso di una piccola grotta apparentemente agibile senza difficoltà. Al momento, in mancanza della pur minima dotazione indispensabile anche per la più semplice attività speleologica, avevamo rimandato la visita. Ora è arrivato il momento e, con il favore di un lungo periodo senza precipitazioni, entriamo con la certezza almeno di non bagnarci e sporcarci troppo.
La piccola grotta si apre sul versante sinistro dell'inizio della Valle del Lambro, in un affioramento di Dolomia Principale, con l'angusto imbocco nascosto da un masso staccato dalla parete. Il suo nome può essere spiegato con tre ipotesi, tutte non particolarmente convincenti: 1- ambiente di ingresso modellato dai ghiacciai in modo da assumere l'aspetto di una roccia montonata; 2- la presenza, all'interno, di concrezioni parietali alcune delle quali ricordano come aspetto il dorso lanoso delle pecore; 3- uso dell'antro come ricovero di fortuna per le greggi in caso di imprevisti meteorologici.
L'aspetto estetico dell'interno è assai modesto: l'inattività - fossilizzazione - dei condotti è databile in tempi geologici, per cui ormai non si presenta nessuna formazione in atto di stalattiti o stalagmiti; la lunghissima frequentazione ha portato alla scomparsa delle strutture più fragili, e tutto risulta lisciato e sporcato dai passaggi.
La dotazione personale indispensabile comprende una tuta sporcabile, un paio di guanti, un casco e una sorgente luminosa affidabile (meglio con batterie di riserva).
Dal parcheggio si imbocca la Via all'Alpe e, subito a sinistra, la Via Menaresta (nome con cui veniva identificata la sorgente del Lambro, a quanto pare etimologicamente indicante un'alternanza dell'intensità dei flussi); al termine dell'asfalto si prosegue lungo un viottolo ghiaioso nella foresta di abeti fino alla fessura di interstrato da cui normalmente (ora siamo in un periodo di secca quasi totale) sbucano le acque prima di intraprendere - come chiarisce una lapide in loco - il viaggio di 130 chilometri fino alla foce nel Po. Sull'altro versante della valletta, ad un centinaio di metri di distanza, seguendo un sentiero pianeggiante, si raggiunge la paretina rocciosa che alla sua estremità meridionale ospita l'ingresso della grotta; l'accesso è protetto da un cancello sempre aperto e si presenta piuttosto angusto. Trattandosi di una cavità impostata su di una serie di fratture, l'andamento non è lineare e si possono individuare due percorsi primari: quello ovvio, che ci si trova di fronte progredendo e un secondo, più visibile al ritorno, tecnicamente più divertente. Subito dopo il piccolo accesso, si accede ad una camera cui segue un'alta fessura posta sopra un gradino; un secondo slargo ospita la colata calcarea che può giustificare la similitudine ovina e l'apertura - raggiungibile in facile arrampicata con passi di III° - di un camino eroso e concrezionato. Il soffitto si abbassa e la prosecuzione è lungo un cunicolo leggermente ascendente e nettamente impegnativo progressivamente intasato di detrito.
Tornando verso l'uscita, in corrispondenza di una saletta con numerose scritte a vernice rossa, si nota sulla sinistra un bel passaggio inizialmente discendente: con qualche cambio di direzione si arriva ad uno slargo (non si riesce comunque ad alzarsi in piedi) da cui sale a sinistra un cunicolo basso liscio e con pochi appigli; in pochi metri si è al termine del percorso: una saletta con molte erosioni ed una grossa clessidra suborizzontale, dal soffitto leggermente umido, permette di sedersi a riposare dopo i lunghi strisciamenti.
Lo sviluppo totale della grotta (somma delle misurazioni di tutte le diramazioni conosciute e praticabili) è di 74 metri, con un dislivello in salita di 7 metri.
La piccola grotta si apre sul versante sinistro dell'inizio della Valle del Lambro, in un affioramento di Dolomia Principale, con l'angusto imbocco nascosto da un masso staccato dalla parete. Il suo nome può essere spiegato con tre ipotesi, tutte non particolarmente convincenti: 1- ambiente di ingresso modellato dai ghiacciai in modo da assumere l'aspetto di una roccia montonata; 2- la presenza, all'interno, di concrezioni parietali alcune delle quali ricordano come aspetto il dorso lanoso delle pecore; 3- uso dell'antro come ricovero di fortuna per le greggi in caso di imprevisti meteorologici.
L'aspetto estetico dell'interno è assai modesto: l'inattività - fossilizzazione - dei condotti è databile in tempi geologici, per cui ormai non si presenta nessuna formazione in atto di stalattiti o stalagmiti; la lunghissima frequentazione ha portato alla scomparsa delle strutture più fragili, e tutto risulta lisciato e sporcato dai passaggi.
La dotazione personale indispensabile comprende una tuta sporcabile, un paio di guanti, un casco e una sorgente luminosa affidabile (meglio con batterie di riserva).
Dal parcheggio si imbocca la Via all'Alpe e, subito a sinistra, la Via Menaresta (nome con cui veniva identificata la sorgente del Lambro, a quanto pare etimologicamente indicante un'alternanza dell'intensità dei flussi); al termine dell'asfalto si prosegue lungo un viottolo ghiaioso nella foresta di abeti fino alla fessura di interstrato da cui normalmente (ora siamo in un periodo di secca quasi totale) sbucano le acque prima di intraprendere - come chiarisce una lapide in loco - il viaggio di 130 chilometri fino alla foce nel Po. Sull'altro versante della valletta, ad un centinaio di metri di distanza, seguendo un sentiero pianeggiante, si raggiunge la paretina rocciosa che alla sua estremità meridionale ospita l'ingresso della grotta; l'accesso è protetto da un cancello sempre aperto e si presenta piuttosto angusto. Trattandosi di una cavità impostata su di una serie di fratture, l'andamento non è lineare e si possono individuare due percorsi primari: quello ovvio, che ci si trova di fronte progredendo e un secondo, più visibile al ritorno, tecnicamente più divertente. Subito dopo il piccolo accesso, si accede ad una camera cui segue un'alta fessura posta sopra un gradino; un secondo slargo ospita la colata calcarea che può giustificare la similitudine ovina e l'apertura - raggiungibile in facile arrampicata con passi di III° - di un camino eroso e concrezionato. Il soffitto si abbassa e la prosecuzione è lungo un cunicolo leggermente ascendente e nettamente impegnativo progressivamente intasato di detrito.
Tornando verso l'uscita, in corrispondenza di una saletta con numerose scritte a vernice rossa, si nota sulla sinistra un bel passaggio inizialmente discendente: con qualche cambio di direzione si arriva ad uno slargo (non si riesce comunque ad alzarsi in piedi) da cui sale a sinistra un cunicolo basso liscio e con pochi appigli; in pochi metri si è al termine del percorso: una saletta con molte erosioni ed una grossa clessidra suborizzontale, dal soffitto leggermente umido, permette di sedersi a riposare dopo i lunghi strisciamenti.
Lo sviluppo totale della grotta (somma delle misurazioni di tutte le diramazioni conosciute e praticabili) è di 74 metri, con un dislivello in salita di 7 metri.
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