Sentieri di Piantedo
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La scorsa settimana, lungo il percorso della nuova tappa del Sentiero del Viandante (http://www.hikr.org/tour/post130620.html), in corrispondenza dell'incrocio di Via C.Colombo, avevo notato una bacheca con una mappa fotografica (Google) riportante in sovrastampa tutti i sentieri del comune di Piantedo.
Mi era parsa subito interessante a scopo esplorativo di questo versante che, di noto segnalato e vagamente popolare, ha solo un sentiero secondario per il Rifugio Scoggione; ulteriore incoraggiamento mi veniva dall'osservazione che molte tracce corrispondevano a percorsi di servizio agli acquedotti municipali.
Alla realtà dei fatti, l'entusiasmo si è molto ridimensionato: la mappa è certamente molto estetica, ma è del tutto priva di scala, linee altimetriche e quote, quindi praticamente di nessun aiuto pratico; inoltre una preventiva consultazione del corrispondente foglio online della Carta Tecnica Regionale ha rivelato a malapena una riproduzione di parte delle piste forestali. La presenza di numerosi passaggi tradizionali di ungulati selvatici non aiuta.
Dal punto di incrocio Via C.Colombo-Sentiero del Viandante, dopo aver preso spunto fotografico dalla bacheca municipale, saliamo per la pista cementata di destra e la seguiamo fino al quarto tornante, dove si distacca sulla sinistra una traccia larga e comoda, perfino rastrellata per pulizia. Oltrepassata una baita, la eccezionale manutenzione termina e si prosegue lungo un bel sentiero nel fitto castagneto; il percorso, che oltrepassa anche un paio di ripidi scivoli d'acqua, rivela parecchi ruderi di vecchi manufatti: si passa infatti fra muri a secco tuttora in buone condizioni, rocce affioranti modellate a scalini nei tratti più ripidi e numerosi resti di piccole baite a testimonianza di antiche e faticose attività forestali e pastorali. Qualche tornante attraverso un bosco più rado e ripido conduce a sbucare in corrispondenza della piazzola terminale della pista di Prato della Ciliegia: e qui cominciano, per così dire, i guai. Attualmente, la zona appare piuttosto devastata da abbattimenti di alberi e i sentierini neo-creati dai boscaioli si moltiplicano fra le cataste di legname, mezzi d'opera e teleferiche temporanee, ma uno in particolare presenta caratteristiche di maggiore importanza: lo seguiamo comodamente a lungo fino...al suo termine davanti ad un casello dell'acquedotto; più in alto si scorge un secondo serbatoio, che raggiungiamo giusto per non perderci la breve "ferratina" che permette di avvicinarlo. Tornati al Piano della Ciliegia ci aggiriamo per un po' in cerca dell'alternativa, ma, al di fuori della zona degli abbattimenti, non troviamo nulla e - per la verità - anche il versante che dovremmo affrontare non sembra praticabile. Nonostante tutto è ancora troppo presto per tornare e decidiamo quindi di provare qualcos'altro: seguiamo il sentiero segnalato per il Rifugio Scoggione fino al Piano della Formica. Il percorso è ripido ma sempre comodo attraverso una faggeta stupenda, intervallata solo dalla conca di pascoli dell'Alpe Prato. Poco prima di sbucare alle baite del Piano della Formica, finalmente si trova qualcosa: a sinistra del sentiero compaiono dei frequenti segnali a vernice sui tronchi dei faggi (1 bianco cerchiato di rosso; una numerazione analoga compare in alta Val Lèsina, nella conca dell'Alpe Cappello, ai piedi del Legnone...). Ma anche qui - per altri motivi - le cose non vanno bene: in realtà un sentiero attualmente non esiste più e, anche se i segnali non lasciano dubbi, la pendenza del bosco che si accentua sempre più verso un fondovalle invisibile e le stratificazioni di fogliame sdrucciolevole (la sensazione è di tenuta poco superiore a quella del ghiaccio) ci inducono a risalire a scanso di guai. Torniamo, per la via di salita, al Piano della Ciliegia e decidiamo di fare un ultimo tentativo di esplorazione: seguiamo la pista forestale fino al primo tornante (nel senso di marcia) dove la mappa evidenzia un nuovo sentiero. "In loco" l'inizio della traccia assomiglia ad un incanalamento delle acque piovane, ma un bollo rosso sul tronco di una betulla incoraggia alla prosecuzione; e questa volta con successo! Si procede in traverso molto esposto sotto una parete rocciosa, dove una lunga catena dà fiducia nell'appoggiare i piedi in piccole tacche consumate intagliate nella pioda; raggiunto un terreno più agevole, tocca attraversare una recentissima frana di grosse schegge rocciose molto instabili, per poi addentrarsi in un castagneto terrazzato con muri a secco: al termine della traversata si raggiungono i numerosi ruderi di Baita di Cavalin. Inizialmente la prosecuzione appare un poco difficoltosa, le tracce sono numerose ma attribuibili soprattutto a cervi e caprioli, ma poi un passaggio obbligato attraverso un affioramento roccioso rivela adattamenti umani. Dal nulla compaiono tratti di vernice rossa sui tronchi e, pian piano, si accentuano tracce di passaggio fino a poter dire che si cammina su sentiero: praticamente si retroverte ad un livello più basso e grossolanamente parallelo a quello percorso per Baita di Cavalin. Ormai su bella traccia si raggiungono i resti delle baite di Codolle, in corrispondenza del termine di una pista forestale secondaria; percorrendola comodamente ci si va a congiungere con la strada cementata iniziale, al suo terzo tornante. Da qui si percorre la via di salita fino al parcheggio.
Fare attenzione: inizia le stagione delle zecche e qui è area endemica per la Borreliosi.
Mi era parsa subito interessante a scopo esplorativo di questo versante che, di noto segnalato e vagamente popolare, ha solo un sentiero secondario per il Rifugio Scoggione; ulteriore incoraggiamento mi veniva dall'osservazione che molte tracce corrispondevano a percorsi di servizio agli acquedotti municipali.
Alla realtà dei fatti, l'entusiasmo si è molto ridimensionato: la mappa è certamente molto estetica, ma è del tutto priva di scala, linee altimetriche e quote, quindi praticamente di nessun aiuto pratico; inoltre una preventiva consultazione del corrispondente foglio online della Carta Tecnica Regionale ha rivelato a malapena una riproduzione di parte delle piste forestali. La presenza di numerosi passaggi tradizionali di ungulati selvatici non aiuta.
Dal punto di incrocio Via C.Colombo-Sentiero del Viandante, dopo aver preso spunto fotografico dalla bacheca municipale, saliamo per la pista cementata di destra e la seguiamo fino al quarto tornante, dove si distacca sulla sinistra una traccia larga e comoda, perfino rastrellata per pulizia. Oltrepassata una baita, la eccezionale manutenzione termina e si prosegue lungo un bel sentiero nel fitto castagneto; il percorso, che oltrepassa anche un paio di ripidi scivoli d'acqua, rivela parecchi ruderi di vecchi manufatti: si passa infatti fra muri a secco tuttora in buone condizioni, rocce affioranti modellate a scalini nei tratti più ripidi e numerosi resti di piccole baite a testimonianza di antiche e faticose attività forestali e pastorali. Qualche tornante attraverso un bosco più rado e ripido conduce a sbucare in corrispondenza della piazzola terminale della pista di Prato della Ciliegia: e qui cominciano, per così dire, i guai. Attualmente, la zona appare piuttosto devastata da abbattimenti di alberi e i sentierini neo-creati dai boscaioli si moltiplicano fra le cataste di legname, mezzi d'opera e teleferiche temporanee, ma uno in particolare presenta caratteristiche di maggiore importanza: lo seguiamo comodamente a lungo fino...al suo termine davanti ad un casello dell'acquedotto; più in alto si scorge un secondo serbatoio, che raggiungiamo giusto per non perderci la breve "ferratina" che permette di avvicinarlo. Tornati al Piano della Ciliegia ci aggiriamo per un po' in cerca dell'alternativa, ma, al di fuori della zona degli abbattimenti, non troviamo nulla e - per la verità - anche il versante che dovremmo affrontare non sembra praticabile. Nonostante tutto è ancora troppo presto per tornare e decidiamo quindi di provare qualcos'altro: seguiamo il sentiero segnalato per il Rifugio Scoggione fino al Piano della Formica. Il percorso è ripido ma sempre comodo attraverso una faggeta stupenda, intervallata solo dalla conca di pascoli dell'Alpe Prato. Poco prima di sbucare alle baite del Piano della Formica, finalmente si trova qualcosa: a sinistra del sentiero compaiono dei frequenti segnali a vernice sui tronchi dei faggi (1 bianco cerchiato di rosso; una numerazione analoga compare in alta Val Lèsina, nella conca dell'Alpe Cappello, ai piedi del Legnone...). Ma anche qui - per altri motivi - le cose non vanno bene: in realtà un sentiero attualmente non esiste più e, anche se i segnali non lasciano dubbi, la pendenza del bosco che si accentua sempre più verso un fondovalle invisibile e le stratificazioni di fogliame sdrucciolevole (la sensazione è di tenuta poco superiore a quella del ghiaccio) ci inducono a risalire a scanso di guai. Torniamo, per la via di salita, al Piano della Ciliegia e decidiamo di fare un ultimo tentativo di esplorazione: seguiamo la pista forestale fino al primo tornante (nel senso di marcia) dove la mappa evidenzia un nuovo sentiero. "In loco" l'inizio della traccia assomiglia ad un incanalamento delle acque piovane, ma un bollo rosso sul tronco di una betulla incoraggia alla prosecuzione; e questa volta con successo! Si procede in traverso molto esposto sotto una parete rocciosa, dove una lunga catena dà fiducia nell'appoggiare i piedi in piccole tacche consumate intagliate nella pioda; raggiunto un terreno più agevole, tocca attraversare una recentissima frana di grosse schegge rocciose molto instabili, per poi addentrarsi in un castagneto terrazzato con muri a secco: al termine della traversata si raggiungono i numerosi ruderi di Baita di Cavalin. Inizialmente la prosecuzione appare un poco difficoltosa, le tracce sono numerose ma attribuibili soprattutto a cervi e caprioli, ma poi un passaggio obbligato attraverso un affioramento roccioso rivela adattamenti umani. Dal nulla compaiono tratti di vernice rossa sui tronchi e, pian piano, si accentuano tracce di passaggio fino a poter dire che si cammina su sentiero: praticamente si retroverte ad un livello più basso e grossolanamente parallelo a quello percorso per Baita di Cavalin. Ormai su bella traccia si raggiungono i resti delle baite di Codolle, in corrispondenza del termine di una pista forestale secondaria; percorrendola comodamente ci si va a congiungere con la strada cementata iniziale, al suo terzo tornante. Da qui si percorre la via di salita fino al parcheggio.
Fare attenzione: inizia le stagione delle zecche e qui è area endemica per la Borreliosi.
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