“Gli ultimi anni che passai in America ogni tanto dovevo fare la notte nei night-clubs di San Francisco; quello certo non l’avrei immaginato il giorno che sono arrivato là a schivare i tram le auto le carrozze; mi pareva la fine del mondo, fino allora avevo visto soltanto la corriera della Lavizzara. Quelle notti in bianco dovevo farle per coltivare qualche interesse; trafficavo case e terreni e guadagnavo bene, e ogni tanto mi veniva in mente che a Cavergno portavo letame una giornata intera, e poi mi davano due franchi. Che miseria, pensavo con nostalgia.
Nostro padre aveva lavorato tutta la vita, mai una vacanza, nemmeno il giorno delle nozze, che finito di mangiare andarono insieme a rigovernare la vacca - non li posso nemmeno immaginare soli nella stalla, li impalati e guardarsi adesso che erano marito e moglie, e poi aiutarsi timidi a mungere, portar giù il fieno e stendere lo strame... chissà? - e tutti i giorni appresso, uno dopo l’altro, alzarsi sempre con in mente il lavoro da fare; soltanto il servizio militare aveva interrotto per nostro padre la pena di dover faticare il lavoro già prima di farlo.”
Da Il fondo del sacco, pag. 27.

 
 

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