Monte Lago (2353)


Publiziert von Alberto C. , 17. Juli 2014 um 00:20.

Region: Welt » Italien » Lombardei
Tour Datum:11 Juli 2014
Wandern Schwierigkeit: T2 - Bergwandern
Wegpunkte:
Geo-Tags: I 
Zeitbedarf: 5:00
Aufstieg: 1000 m
Abstieg: 1000 m
Strecke:Si percorre per alcune decine di metri la stradina asfaltata e si imbocca la mulattiera che si stacca sul lato destro. Percorrendola si incontrano le località di Scoccia, Corte Grande, Corte Grassa, Baitridana e il Rifugio Alpe Lago. Dall'Alpe Piazza, in breve, si arriva al bivacco Legüi; si prosegue fino a raggiungere un grosso ometto in pietre. Qui si piega a sinistra e si risale la creta fino a raggiungere la cima del Monte Lago. La discesa ricalca la traccia di salita. Io dall'ometto al termine dellacresta, mi sono mantenuta ad una quota leggermente più elevata, evitando di passare per il bivacco ed il rifiugio, e ricongiungendomi al tracciato di salita in corrispondenza di Baitridana. Da qui ho seguito fedelmente la traccia di salita.
Zufahrt zum Ausgangspunkt:Raggiunta Morbegno con la SS38, quella che da Colico percorre l'intera Valtellina, si devia a destra seguendo le indicazioni per Passo San Marco, che inizia dalla piazza dell’ospedale. Raggiunto Albaredo, si procede fino a superare, poco dopo un tornante, il segnale che indica la progressiva km 15; percorso un altro centinaio di metri, in corrispondenza di una stradina che si stacca sulla sinistra, si notano numerosi cartelli indicatori per il rifugio Alpe Piazza e il bivacco Legüi. Non c'è un'area di parcheggio e bisogna parcheggiare l'auto lungo la strada.

Una facile cima nella Valle del Bitto, fra alpeggi ancora attivi, lungo il sentiero della transumanza, tra  magnifiche fioriture e frequenti incontri con marmotte.
Cima molto panoramica sulla catena delle Orobie e sulla catena che va dal Disgrazia al Bernina.

DIFFICOLTÀ.     T2/T3.   Fino al Bivacco Legüi è un percorso escursionistico su mulattiera e facile sentiero ben segnalato. Poi il sentiero si trasforma in una semplice traccia e i segnavia si fanno più radi.

QUOTA MASSIMA:  m 2353, la cima del Monte Lago.

DISTANZA:  km 10,6

TEMPO TOTALE, comprese le soste:   5h 45'
TEMPO DI SALITA:2h 30'
TEMPO DI DISCESA:  2h 25'         

PERCORSO.             Parcheggiata l'auto, si inizia a salire lungo la stradina che si stacca sulla sinistra (senso di salita) della strada per Passo San Marco. Percorse poche decine di metri, si imbocca una evidente mulattiera sulla destra.  Con un tratto abbastanza ripido si risale nel bosco fino ad uscirne in corrispondenza di alcune baite e di una fontana in località Scoccia (m 1447). Si prosegue per la mulattiera, trascurando il sentiero più basso, fino a raggiungere, poco dopo, località Corte Grassa (m 1533), dove si trova una baita con una fontana. Continuando a seguire le bandierine in vernice bianco/rosse che marcano il sentiero, fino a superare alcune baite. Percorso un tratto di sentiero pianeggiane, si raggiunge l'estremo del gruppo di baite dove si trova un cartello che avvisa che ci si trova in località Corte Grande (m 1616). Si entra  in un bosco di conifere al termine del quale si è in vista di alcune baite. Tenendosi a monte delle baite, si arriva ad un bivio dove si prosegue diritti, in piano, e si raggiunge località. Un altro cartello ci indica che siamo in località Baitridana (m 1740), sul sentiero n. 3  della transumanza.  Il sentiero prosegue in lieve salita tra rada vegetazione fino a raggiungere l'Alpe Piazza, dove si trova l'omonimo rifugio (m 1835).
Proseguendo per la direzione dalla quale si è arrivati all'Alpe Piazza, superato un torrentello su un ponte in legno, si raggiungono un baitone ed il bivacco Legüi (m 1900 circa), che si scorgono già dal Rifugio. Si prosegue fino a superare un dosso e raggiungere una caratteristica conca adagiata sotto il fianco settentrionale del Monte Lago. Da qui si sale fino a raggiungere il crinale contrassegnato da un grosso ometto in pietre, dove si piega a sinistra risalendo la traccia che percorre la cresta. La traccia è abbastanza visibile e quasi sempre agevole, solo in alcuni punti presenta qualche "strappo", e conduce senza problemi e senza possibilità di errore alla croce della cima (m 2353).
Per la discesa si percorre lo stesso itinerario della salita fino all'ometto, qui ci sono due possibilità: proseguire percorrendo per intero la traccia della salita, oppure passare a monte della baita denominata Tacher, seguendo un secondo segnavia (bandierine bianco rose) che porta ad una zona paludosa (probabilmente un ex laghetto) e, passando sopra l'Alpe Piazza, mantenendosi poco sotto la linea di cresta, porta collegarsi alla traccia di salita in località Baitridana. Attenzione, ad un certo punto,nei pressi di alcuni ruderi, bisogna abbandonare il sentiero segnato che prosegue seguendo la cresta, e piegare in discesa a sinistra. Da questo punto il sentiero non è più segnalato e bisogna trascurare le varie tracce che portano verso monte.

METEOImprontato sulla variabilità. Inizialmente abbastanza soleggiato, ma con cumuli nuvolosi lungo la cresta orobica, si è quasi totalmente coperto fino ad una leggera pioggerella. Poi è andato migliorando e dalla tarda mattinata il sole è stato costante. Sempre nubi abbastanza minacciose verso la cresta orobica ed il gruppo del Disgrazia.       


CURIOSITA' GASTRONICA.
La Valle del Bitto è famosa per il formaggio, il Bitto appunto, che vi si produce; una vera leccornia gastronomica..
Il formaggio Bitto ha origini antichissime e, secondo alcuni storici, la pratica dell’allevamento iniziò in questa zona quando alcuni clan celtici, scacciati dalla pianura dai Romani, vi trovarono rifugio: il nome Bitto pare si possa ricondurre alla parola celtica "bitu", che significa "perenne", a dimostrare la grande conservabilità di questo formaggio. 
Il formaggio Bitto è prodotto esclusivamente con latte vaccino intero derivato da razze tradizionali nella zona di produzione sopra citata, a cui può essere aggiunto latte caprino in misura non superiore al 10%. L’alimentazione delle bovine da cui deriva il latte deve essere costituita prevalentemente da essenze spontanee ed erbai, eventualmente affienati, dell’area di produzione prima delimitata. La coagulazione è ottenuta con l’uso di caglio di vitello e la cottura avviene ad una temperatura fra i 48° e i 52°C. La maturazione deve essere protratta per almeno 70 giorni. 
Il Bitto si presenta in forme cilindriche, con superfici piane e con uno scalzo concavo a spigoli vivi. Il diametro delle facce è di circa 30-50 cm, l’altezza dello scalzo é di 8-10 cm e il peso varia da 8 a 25 kg in relazione alle dimensioni della forma. 
La pasta è caratterizzata da una struttura compatta, con presenza di occhiatura rada ad occhio di pernice. Al taglio il colore si presenta variabile dal bianco al giallo paglierino, a seconda della stagionatura. Il sapore dei Bitto é dolce, delicato, e diventa più intenso con il procedere della maturazione. 
L’eventuale aggiunta e di latte caprino accentua il caratteristico aroma. 
Il Bitto può essere impiegato nella preparazione di piatti tipici valtellinesi, ma viene apprezzato anche a fine pasto accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso Valtellina DOCG (per i non astemi).

LA LEGGENDA.
(Testo copiato dal sito web del Comune di Albaredo)
 
C'è un mito nelle Alpi che assegna ad una creatura improbabile uno statuto ambiguo, sospeso tra l'uomo e la bestia, che incarna la selvatichezza residua dell'uomo. Questa creatura che si è negata all'azione civilizzatrice è l'homo selvadego, un essere che fluttua ai margini del genere umano. Questo essere è l'abitatore di "uno spazio selvaggio" e in particolare dei boschi alpini.
A Sacco vi è una bella raffigurazione dell'homo selvadego e lo troviamo dipinto nella camera picta, con l'iscrizione mentre brandisce un randello nodoso : " E sonto un homo selvadego per natura chi me offende ghe fo pagura".
E' verosimile che l'homo selvadego orobico avesse anche una donna che vagava nei boschi di queste vallate e, soprattutto ai margini dei maggenghi, "all'imbrunire della sera si sentiva il fiatone e ogni tanto si affacciava al prato pascolo" così raccontano i contadini che l'hanno vista. La donna dell'homo selvadego era la végia gòsa. Una figura ai limiti tra l'umano e l'animale, goffa, con il gozzo, coi capelli lunghi, alta quasi un metro e ottanta e piena di peli. La végia gòsa, ovvero la vecchia col gozzo, si vestiva con stracci simili alla Juta e stramaglie, nella brutta stagione imbottiva gli stracci di erba essiccata.
Queste figure sono sempre state dipinte con una certa cattiveria, invece erano personaggi di una grande spiritualità, di un profondo rispetto dell'ambiente in cui vivevano e di una straordinaria capacità di adattamento alle difficili condizioni. Sono figure un po' simili agli indiani d'America o di altri popoli antichi come quello che nel tardo Neolitico ha conosciuto, in qualità di cacciatore, le nostre Alpi, che noi simpaticamente abbiamo chiamato homo orobicus.
In tutti noi, abitatori odierni di queste montagne e di questi luoghi suggestivi c'è un cuore selvatico, cioè lo spirito di coloro che amano la propria terra, la propria storia di civiltà . I popoli nordici hanno una cultura per il bosco che si è trasformata in leggende di folletti e di altre figure.
A noi piace ricordare tutto questo e siccome all'homo selvadego non era ancora stata assegnata una donna abbiamo pensato che la sua compagna di vita, anzi di bosco, fosse la nostra végia gòsa.
Ogni anno il 15 di agosto nel cuore della notte, esattamente a mezzanotte, nella Piazza principale di Albaredo la végia gòsa viene bruciata con uno splendido falò.
Accompagnare la végia gòsa al falò celtico vuol dire coniugare, esplorando, un epoca remota della formazione della vita e della civiltà nelle nostre montagne.
Bruciare la végia gòsa non vuol significare tuttavia distacco o allontanamento di o da qualcosa, ma un po' come faceva l'homo orobicus un gesto propiziatorio.
Dal 1999 vi è uno stupendo dipinto murale nei pressi delle Scuole, sulla via che porta alle Case di Sopra, a raffigurare questo mitico personaggio delle nostre Alpi, che insieme all' homo selvadego, costituisce una rappresentazione della storia fantastica delle credenze popolari alpine.

Tourengänger: Alberto C.
Communities: Hikr in italiano


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