Monte Sasna (2228 m)

L’idea era di trascorrere una settimana nella “mia” Val di Scalve, ma il meteo dà un solo giorno di bel tempo, quindi opto per fare una cosa in giornata, e visto che avevo già pensato a quella valle come possibili mete, che Val di Scalve sia! Come vetta, scelgo il Monte Sasna (2228 m): ricordo che lo feci una vita fa, quando ero ancora bambino, e fu una delle mie prime cime, forse la prima in assoluto, non saprei dire… Ora, ad anni di distanza, rieccomi lì, in inverno, però. Ci sono due modi per salirlo: dalla cresta che parte dal Passo della Manina e direttamente dalle Malghe Saline. Ovviamente scelgo la seconda. L’effettiva “linea” da seguire la deciderò una volta lì.

Parto da Pezzolo, che a Nona parcheggiare è piuttosto difficile. Passo da Designo con la strada che va su e giù, poi incomincia a salire più decisamente. Scivolo, in salita, su una lastra di ghiaccio, cosa che mi provoca taglio un dito e una contusione al ginocchio: troppo presto, per avere problemi! così, stringo i denti e vado avanti. Arrivato a Baite Esenne, la neve si incomincia a fare importante. Sprofondo e così decido di mettere le ciaspole. Proseguo seguendo delle tracce di qualche giorno fa, che però a poco a poco diventano sempre più flebili. Giunto a Baite Saline, devo decidere il da farsi: proseguire verso Baita Bella Valle e da lì puntare al Passo di Sasna, come avevo fatto quella volta, tanti anni fa, oppure puntare, dritto per dritto, direttamente a quella croce che vedevo già da un po’ e che solo ora mi rendo conto essere proprio quella della mia meta (o, meglio, della sua anticima). La seconda opzione mi sembra migliore, in particolare perché la neve, a questo punto, è diventata durissima, a tratti ghiacciata – cosa assai positiva per la salita – e di qui si intravvede un costone che porta verso l’anticima: seguirlo è garanzia di maggior portanza della neve. Proseguo così su un terreno ripido, tra i 30° e i 35°, ma sempre con una neve compatta, perfetta. La salita dalla parete SE si rivela divertente e impegnativa al punto giusto. Qualche timore solo per la discesa, nel caso la neve non dovesse tenere. Nel caso, mi tengo aperta l’opzione di scendere dalla cresta, che dovrebbe essere più tranquilla. Giunto in vetta, incontro un gruppo di scialpinisti. Ne è già passato un altro, poco prima. La meta è popolare, evidentemente. Nessuno, però, ha affrontato la salita dal versante, come ho fatto io, né tantomeno con le ciaspole. Chiedo loro com’è la cresta e capisco che c’è del ghiaccio da evitare. Nel frattempo, mi porto alla vetta principale, quella con la croce più piccola. Lì mi raggiunge un giovanotto, da solo anche lui, insieme ad un cane. Chiacchieriamo sulle condizioni della neve. Aveva notato che io avevo fatto lo “spallone”, che è la via invernale salendo da Nona. Le altre vie sono soggette a possibili valanghe. Io, senza volerlo, avevo scelto la più sicura. In effetti, avevo seguito l’istinto. Per la discesa, alla fine seguirò ancora quella. Attorno a me ci sono tante cime delle Orobie che poco conosco, perché da queste parti non vengo mai, più che altro per via del traffico al ritorno, che, alla fine, anche oggi mi tormenterà. Ma per ora non mi resta che godermi il panorama, con un tempo spettacolare! La discesa è tranquilla, la neve tiene nella parte ripida, poi più in basso diventa morbida e si può giocare a scorrazzare allegramente.

Giunto a Nona, mi concedo un mio divertissement: fare una cima sconosciuta, il Monte Cromo, un monticello di 1405 metri appena sopra l’abitato, senza rapporti e senza gloria. Una sessantina di metri di dislivello, per metà in mezzo ad un bosco che lo ricopre fino alla cima.

Alla prossima, Val di Scalve.